Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra morte corporale, da la quale nullu homo vivente pò skappare – san Francesco. La morte non si improvvisa. Si merita con tutta la vita – padre Kolbe. Devo ancora imparare a meritare la mia morte – R. Garaudy. Dio ha fatto bene a mettere la morte alla fine della vita, anziché al principio; così gli uomini hanno tempo per prepararvisi – J. Le Gentil. Morire è tremendo. Ma l’idea di morire senza aver vissuto è insopportabile. E. Fromm.  Signore, dona a ciascuno la propria morte, nata dalla propria vita – R.Rilke. Signore, fa’ che la morte mi trovi vivo – un credente.  E’ la sera dei morti. Si può dire morti? O come ha scritto J. Sullivan, citato da A. Pronzato, eliminato ormai il tabù del sesso – se ne parla e lo si vede a iosa – è ormai penetrato in tutti il tabù della morte? I preti vengono rimproverati: da laici soprattutto, e non si capisce bene il perché, e da religiosi, ma essendo della schiera dei bigotti, è sospetto (e tutti gli altri tacciono subendo): voi non parlate più della morte. Che è un po’ vero, ma non per tutti i predicatori. E’ la sera dei morti: li abbiamo fatti affollare nella nostra abbazia chiamandoli per nome. Tanti nomi, tante storie, le nostre storie. Sono stati lì. Accanto al Vivente, accanto a noi, i vivi. E ci siamo detti che morire è un atto del vivere, e la morte è l’inconsistenza tra una vita di terra e una vita di paradiso, il giardino di Dio. Tre crisantemi bianchi spiccavano tra vaporose foglie del colore d’autunno: il nostro giardino,  a ricordare il loro. Lo stesso giardino di ieri, festa di tutti i Santi. E dunque diciamo della morte, parliamone: se è solo l’ingresso sull’aldilà, quali remore? quale scandalo? perché sottrarcene il pensiero, dentro la parola? senza certo ignorare i dolorosi distacchi da chi ci precede, e ci ha amato, e abbiamo amato: ma come si potrebbe? Parole scritte o dette da molti. Forse le conoscete, quelle poste all’inizio di questo brano. Ne potete aggiungere, da questo giorno per tutto questo mese di nebbie e nuvole basse, che sono lì a ricordare la cortina tra il qui e il Dovunque     indescrivibile     che ci aspetta. Perché pensare alla morte, parlarne, scriverne, ci sposti all’indietro, verso la vita.