Insomma qualcosa si muove, e si muove nella direzione attesa da tanti cattolici, da molto tempo. “Il cristianesimo, il cattolicesimo non è un cumulo di proibizioni, ma un’opzione positiva. È importante che lo si veda nuovamente, poiché questa consapevolezza è ormai scomparsa”. Sentirselo dire da papa Benedetto, sul finire dell’estate, è bello. Pastori anonimi lo vivono da tempo nelle piccole e grandi parrocchie del mondo: anche se una certa mancanza di parresia – che è azione largamente ancora sospetta nella Chiesa – impedisce loro di essere una voce alta

, di evangelica forza. “E noi potremmo anche volare un po’ di più, se ci dessimo meno importanza”. Se la prolungata vampata di Giovanni Paolo ha soprattutto invaso le piazze, ora Benedetto scosta la tenda della propria quotidiana umanità: e si sottopone a domande intriganti in un’intervista vera, e non all’esclusiva prefabbricata di un giornalista rigidamente coeso. Riscoprire un Dio umano in chi lo confessa Signore della vita, è lo slogan di questo papa: se lo diventasse anche del suo papato – e le connessioni non sempre funzionano meccanicamente – ne potrebbe finalmente beneficiare tutta la Chiesa.

Serve dunque una robusta risalita di franchezza, dalle parrocchie ai vescovadi, e da questi al papato “che non è monarchia assoluta, ma nell’ascolto collettivo di Cristo, deve – per così dire – personificare la totalità”. E questa risalita, in questi ultimi anni, l’hanno affrontata molte chiese particolari italiane, indicendo i Sinodi. Che, lo dice la parola, è un concamminare: ciascuno per la propria responsabilità, reso attore della missione battesimale, sacerdotale, regale e profetica. Sinodi che avvengono in Chiese che, dall’affascinante ma breve stagione del post-Concilio a oggi, soffrono per mancanza di partecipazione del popolo di Dio: che è fatto di donne e uomini, monaci e religiosi, preti e laici, vecchi e giovani. Categorie diversamente sottorappresentate per numero e responsabilità nelle convocazioni liturgiche e formative.

Il dono di un Vescovo per ogni diocesi – a lui compete l’unicità del magistero, della legislazione e del governo anche nei Sinodi, come è chiaramente ribadito nel Codice di diritto canonico – può trasformarsi in un rischio: l’adeguarsi di quella comunità ecclesiale alla personalità del proprio pastore, più intellettuale o più pastorale; più apprensivo o più decisionista; più di apparenza che di sostanza. Uomini, sebbene apostoli, come già ricordava san Paolo. Un rischio che non porta necessariamente a contrapposizioni laceranti; ma in compromessi annacquati, sì: qualcuno direbbe italici. Che diventano testi che ripetono testi; orientamenti che rimandano l’applicazione a “tempi più maturi”; concessioni fuori luogo a piccole fette “per non perdere nessuno”. Che poi si perde lo stesso, come ben sanno in alcune diocesi. Se poi il Direttorio sui Sinodi avverte il Vescovo di “non lasciar passare posizioni magari con la pretesa di trasmettere alla Santa Sede ‘voti’ in merito (…) riguardanti materie disciplinari riservate ad altra autorità” – ci si chiede se è questo il meglio per servire la “totalità papale dell’unità” (Benedetto papa) che è sicura solo se avvalorata dalle pressioni e dagli equilibri che lo Spirito diffonde dove vuole.

Un Sinodo riesce là dove il Vescovo si mette in mezzo. Anche spazialmente, poiché ci sono casi in cui la forma è sostanza: la circolarità che si stabilisce al posto di una frontalità incide molto sulla “fisicità” della comunione tra i membri – del Vescovo con preti e laici, e dei preti e dei laici tra di loro – e nel livello di partecipazione non suddita. Il Sinodo riesce se il Vescovo si fa obbediente: se si slancia in fuori per ben udire. Saper ascoltare tutti, esigendo la parola di tutti, permette quella sedimentazione, e quella ripresa delle argomentazioni, che partendo da una provocazione corregge, arricchisce e infine determina la questione nei suoi termini più validi. Obbediente, il Vescovo, allo Spirito se obbediente al popolo di Dio, a cui pure partecipa sempre anch’egli come discepolo, oltre che come apostolo. Se il Sinodo ha questa obbedienza del Vescovo, ed ha del pari l’obbedienza dei Sinodali – che non tentano di far passare se stessi ma di raccogliere e riproporre ciò che hanno ascoltato dallo Spirito che parla per molte voci – i libri sinodali non nasceranno già obsoleti; né saranno subito dimenticati nelle librerie presbiterali, come un diario dei sogni non biblici.

Ma occorre un colpo d’ala per volare un po’ più in là. Sapranno, i Vescovi dei prossimi Sinodi, darsi e dare questa libertà?