Alle molteplici analisi che si possono fare in questa svolta della storia ecclesiale, si devono aggiungere quelle che riguardano il cambiamento culturale del nostro tempo. Senza questa introduzione, ancora una volta si andrebbe verso l’uso di pannicelli caldi, che non metterebbero a fuoco il malessere che si sta vivendo. E dunque non si arriverebbe al cuore delle cose che segnalano le possibilità. E dunque i nuovi segni dei tempi. La Gaudium et spes

è nata in momento del tutto diverso: diversa la società, diversi i modi di concepire la storia. Ma diverso anche il contesto dentro cui nasce quel documento: un ottimismo dello Spirito, come è stato chiamato, che aveva la sua vela nel Concilio, e nella buona volontà generata dalla presenza di un papa della terra, come fu Giovanni XXIII. I nomi di Krusciov, di Kennedy, raggiunti dalla corrispondenza di quel papa, rappresentavano popoli che volevano uscire dalla guerra fredda: e lo si vedeva come un segno di nuova umanità, corrispondente al Vangelo. Ma fu stagione breve. E per l’umanità e per la Chiesa. Tuttavia è ultimamente che si è entrata in un torpore che copre ancor più quello che lo Spirito sta ancora dicendo a noi, attraverso quei segnali di rinnovamento che non lascia mai mancare, in nessun tempo, alla sua Chiesa.

 

Gli scandali: un segno?

Per dirla in latino “oportet ut scandala eveniant” – è inevitabile che avvengano gli scandali. Ma è un bene? Sì, lo dice il Vangelo in Matteo 18,7 e Luca 17,1. Il che sembra una provocazione pesante, se non aggiungesse: “ma guai a colui attraverso il quale gli scandali arrivano”. Che il peccato si veda, e il peccatore sia imputato. Nella tragedia di cui tutti si impossessano, anche con un’enfasi eccessiva rispetto alla misericordia per questi tristi individui – e faccio riferimento alla pedofilia nelle file dei religiosi – si può vedere un segno dei tempi? Evangelicamente, sì. Una conversione che tocchi i gangli di un disagio psichico ed esistenziale di uomini e di donne non può che essere necessaria per quella pulizia di cui la Chiesa abbisogna. Ma è uno degli scogli su cui liberare finalmente una più ampia “ispezione episcopale” (una tautologia necessaria per la perdita di significato del termine Episcopo), oltre che papale. L’esempio da sempre coerente, checché ne dicano osservatori disinformati per buona o mala fede, di papa Benedetto sui mali che imperversano nella Chiesa (già dalla via crucis della vigilia del suo servizio) autorizzano a inoltrarsi nel terreno di vicende che ne danno un’immagine non sostenibile. A partire da quella elefantiasi che è diventata la Chiesa del Risorto; e per le prevaricazioni di quanti vogliono riprodurre fede e vita buona dei cristiani secondo una propria accomodata lettura. Ma possono essere, gli scandali, segni distintivi dei tempi? È il Signore stesso che ha indicato, attraverso gli elementi della natura, il come accorgersi di cosa sta avvenendo: il rosso di sera per un tempo propizio, ma il rumore di tempeste in avvicinamento per la prevenzione. Dove sono i laici della Christifideles, l’enciclica che in tempi recenti rispetto al concilio chiedeva di dare un posto, e di riprenderselo, ai battezzati? E dove è finito l’accorato invito dello stesso Giovanni Paolo II rispetto al ruolo petrino da ridefinire in una Chiesa che si è espansa in tutti i continenti, non riuscendo a dirsi come inculturare la fede cristiana nella diversificata geografia della spiritualità umana? E il modello dunque di chiese autocefale anche nell’area cattolica, pur nel rispetto di quella presidenza del vescovo di Roma nella carità che, mentre indica, permette la pienezza apostolica di ciascuna chiesa locale?

 

La riscoperta dell’umano

Viene talvolta la tentazione di raccontarci la vita secondo blasfemie del creato. La percezione, ad esempio, che oggi valgano più i cani dei bambini – per persone non solo in età, ma anche per giovani coppie che riversano su animali il loro bisogno di affettività, ritardando una propria procreazione – non è solo una sensazione. Nelle città è visibile sull’occupazione tracotante di spazi pubblici. Si giustifica per un bisogno di compensazione, per solitudini indotte da una morte o da un abbandono. Certo rivelano un miseria di relazioni, e sono comprensibili e giustificabili per quel bisogno dell’uomo di affettività. Di umano. È il bisogno di una corporeità che la Chiesa dovrebbe poter accogliere in forza del mistero dell’incarnazione di cui è depositaria. Tra il peccato carnale e la carnalità assunta dal Verbo ne corre. Si chiede certamente oggi di non giudicare per pregiudizi datati: per effondere, ad esempio, sulla coniugalità quella gioia che compone e che accelera il bene dell’uomo chiamato a una condivisione della vita; e per andare incontro alla necessità di persone che chiedono di ricomporre una decisione matrimoniale inficiata da un fallimento: per il buio che comunque resta in tanta parte della nostra carne, e quindi della storia, l’opera di Dio non può essere favorita da una non occlusione dei sacramenti? Anche eminenze rispettabili pongono oggi interrogativi ineludibili in proposito. Pur non accampandosi in soluzioni facilone, quali, ad esempio, il credere che l’abolizione del celibato sia direttamente proporzionale al dramma della pedofilia: una filiera del tutto inaccettabile, per scienza e coscienza, una disposizione che non servirebbero per nulla l’umano che grida. Senza fatui relativismi, dunque; ma avvalendosi della conoscenza delle scienze umane per servire l’uomo nuovo che il Vangelo chiede.

 

Per discernere

Possiamo tentare alcune indicazioni, sulla scorta della Sacra Scrittura e dei testi conciliari, perché ci sia un abbrivo, una spinta iniziale per rimettere in celerità il movimento rinnovativo della barca della Chiesa che amiamo come nostra madre, e dunque desideriamo sempre migliore.

  1. La comunità è chiamata ad avere gli occhi aperti. Occorre vegliare. La Chiesa, tentata di essere sonnacchiosa e distratta, ha un ruolo di sentinella per il mondo (Quando sentirai dalla mia bocca una parola, tu dovrai avvertirli da parte mia – Ez 3,17). Ma, quale credibilità nel grido di allarme, se prima non risuona nelle coscienze dei discepoli? Se prima non avverte l’afasia che porta dentro di sé?
  2. C’è una selezione da fare, e dunque si devono aprire bene le orecchie. Tanti, oggi, parlano in nome di Dio. Per la Chiesa la Scrittura è fonte, norma. Siccome Dio non ha diritto di replica, occorre che la comunità abbia severi criteri di discernimento. Non è facile fare l’orecchio a Dio (Allora il Signore chiamò: «Samuele!» e quegli rispose: «Eccomi» – 1Sam 3). Ci sono voci spezzate, e voci profetiche: distinguere le une dalle altre, se non è facile, è tuttavia necessario.
  3. Certamente non ha da seguire la Chiesa un indice di gradimento. Dice Gesù: Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi; allo stesso modo infatti facevano i loro padri con i falsi profeti – Lc 6,26. Talvolta è tentata di inseguire ciò che è clamoroso, a riconoscersi nelle grandi adunate. Ma Dio non sta nel terremoto, nel fuoco, nel vento (“Dopo il fuoco ci fu il mormorio di un vento leggero. Come l’udì, Elia si coprì il volto con il mantello, uscì e si fermò all’ingresso della caverna. 1Re 19,12). Ci sono, in tal senso, fenomeni indotti, artificiali. Spuntano figure che affermano di “essere qualcuno”. Il silenzio, e la sobrietà, è per oggi ancora il miglior setaccio per lasciare sedimentare e distinguere ciò che viene da Dio (come ci suggerisce Gamaliele – badate bene a ciò che state per fare contro questi uomini – At 5,35) e ciò che invece si sgonfia da sé, essendo vanità di uomini.
  4. Non vale il criterio: i segni dei tempi sono i fenomeni che si ripetono a tutte le latitudini e in tutti i tempi. Il peccato è tra questi. Non diventa mai segno dei tempi. Puzza di morte; ha semplicemente la capacità di una propria autorigenerazione. Non è necessariamente segnale di Dio ciò che è spaventoso. Gesù parla di tramonti rosseggianti e di nubi cariche di pioggia – Lc 12,5: i segni dei tempi indicano un futuro, proiettano in avanti, aprono alla fiducia.
  5. Va attivato il cuore. Nel Concilio la Chiesa si è posta in atteggiamento di simpatia verso l’umanità: “Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore” (GS n. 1). Per questo ha visto allora gli appelli del suo Signore, e ha saputo infondere speranza a un mondo che cercava se stesso.

 

Cercare per muoversi

Infine: i segnali ci spostano in avanti. Ci fanno cambiare direzione, oppure ci inducono a precisare la rotta. C’è la logica dell’ob-audire: l’ascolto si trasforma in adesione vitale. È un’obbedienza a quanto lo Spirito mette nel mondo: un uscir fuori da sé, un perdere l’arroganza di una verità sterilizzata. I segni dei tempi vanno inseguiti. “Che pensa la Chiesa dell’uomo? Quali orientamenti sembra debbano essere proposti per la edificazione della società attuale? Qual è il significato ultimo della attività umana nell’universo? Queste domande reclamano una riposta. In seguito, risulterà ancora più chiaramente che il popolo di Dio e l’umanità, entro la quale esso è inserito, si rendono reciproco servizio, così che la missione della Chiesa si mostra di natura religiosa e per ciò stesso profondamente umana” (GS, n. 11). Domande da riprendere, queste del Concilio: quanto mai attuali, esse spingono a cercare sempre, a muoversi sempre. Dice papa Benedetto: “Tutti hanno bisogno del Vangelo; il Vangelo è destinato a tutti e non solo a un cerchio determinato e perciò siamo obbligati a cercare nuove vie per portare il Vangelo a tutti”. Non sia inutile ricordare che si cerca nella Grazia: è grazia potersi accorgere delle domande esigenti ma rispettose; ed è grazia sapersi meravigliare per il bene che alla Chiesa vogliono coloro che la chiedono reformanda semper. I segni ci sono. Dove, è la missione dei discepoli riconoscerli per poterli tradurre: un compito di Vangelo.