epidemia

Quattro settimane e più da che siamo entrati in un pianeta diverso. E noi preti a celebrare in solitudine: sì davanti alla chiesa  e per la chiesa, ma senza la comunione dei corpi non è lo stesso celebrare. E dunque ci si snoda in modo diverso tra altare e navate, dandosi camminate che sigillano le parole della Scrittura in meditazioni di profondità più accentuata. E così t’accorgi che la profondità si dissimila dalla seriosità con cui imbastisci talvolta il tuo servizio di Parola. Ed emergono pezzi che trasportano ben oltre i muri, e oltre la collina. E dunque immergono nella universalità di quella liturgia che stai celebrando sine populo, ma con tutta l’umanità. Ti fanno sentire più vera la salita al Calvario che ogni messa dovrebbe ricordare, il sacrificio di chi si è dato per noi, per…

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dominicum

È avvenuto quello che non mi era mai successo: le partite di pallone? a spezzoni, per curiosità condivisa con i milioni altri,  in tempo di mondiali, niente più. Non sono tifoso. Mai entrato in uno stadio, neppure per manifestazioni religiose (questo però dovrei spiegarlo a parte…). Ma ieri sera mi sono digerito tutta la partita. Ammaliato dallo stadio vuoto. Dall’assenza del fracasso di cosiddetti tifosi che son lì non per contemplare, ma per esibirsi in cori da stadio, appunto: insulsi, quando non sono offensivi, certamente lontani da un rito che chiede pause di silenzio. Silenzio appunto: e il suono del calcio che finalmente ti arriva. Quelle voci, quel pallone che tocca suolo o la traversa. Il silenzio che ti fa partecipe finalmente del gioco, dei suoi protagonisti, e fa anche te…

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