Capacità di vangelo, di eucarestia, di carità. O incapacità, su cui il “conosci te stesso” può finalmente dire quanto uno è credente. Quelle tre indicazioni sono state il filo di un triennio, ma sono il filo conduttore di una vita cristiana: capacità di Vangelo, dunque di ascolto; di eucarestia, dunque di apprendimento dell’amore di Dio; di carità, e dunque di traduzione sul prossimo dell’ascolto della Parola per la via, e dell’amore riversato dal Dio eucaristico su di noi. Chiamati a vederlo, il prossimo, a sentirlo come vediamo noi stessi e come noi in noi ci sentiamo. Meno uno si conosce in se stesso, meno saremo capaci di compassione: essendo per sé la prima compassione. Sto ripassando queste linee date alla nostra Chiesa di Bergamo, e mi accorgo che (conoscendo me conosco gli altri!) ne siamo molto lontani. Lontani dunque anche dal Signore? Beh, questo è più difficile da dire, anche perché sappiamo che noi lontani da Lui, ma Lui sempre vicino a noi. Si dà il caso di parecchi che si attengono ai comandamenti e tuttavia restano lontanissimi da Dio. E si dà il caso del contrario. E di altri che vivono molto di atti religiosi, ma meno di fede. E tra l’una e l’altra ci può essere un abisso. Scandaloso, per chi guarda da fuori; e rattristante per chi vede da dentro. Nella Chiesa c’è abbastanza luce per chi crede e abbastanza ombre per chi dubita, scrive Pascal. Certo è che ognuno di noi ha differenti debolezze, differenti vizi derivanti dal suo patrimonio genetico, dalla sua indole, dalla sua biografia. È esperienza di ogni giorno: gli ostacoli all’amore che si fa prossimo sono differenti per ogni individuo. Ma se il vivere (soprattutto) di religione invece che di fede tocca i pastori della Chiesa? Di p maiuscola o minuscola che siano? Da noi, nelle parrocchie, e sotto l’egida di un vescovo, ci stanno i parroci e i curati: i primi sono i responsabili in primis, gli altri vicari o coadiutori. Tutti preti, ma… ma di difficile composizione se il responsabile in primis ha nel suo invincibile subcoscio (che a volte si rivela) “il parroco sono io”: detto in opposizione al suo coadiutore o ai laici. [E lì si può leggere l’incapacità di far avvenire quanto si è ascoltato dal Vangelo,  celebrato nell’eucarestia, e non si sa tradurre nelle relazioni. Che ti vale credere che Dio è nato nella carne, se non lo fai nascere nella tua carne? insegnava un antico Padre della chiesa]. Curato è un titolo che nella chiesa ambrosiana indica il nostro di parroco: indotto da quel curé francese, di cui si conosce l’accezione soprattutto per il Curé d’Ars. Ma è molto significativo: curato per mettersi in cura. Curato dall’amore di Dio e di tanti, per sapere a partire da Sé come prendersi cura di chi ti è affidato. Calare dunque i comandamenti del Signore alla misura dell’uomo: quello che tu sei e quello che l’altro è. Qui il segreto che svela le incapacità: di predicazione e di gesti. Per rimediarle al meglio. Capacità o incapacità da cittadini e da credenti: per l’unica strada che impedisce il nascere delle guerre, che scaturiscono da quel mio e tuo che non accomuna mai gli uni agli altri ma li divide, impedendo la condivisione degli obiettivi per l’unica cosa che importa per una pace: la polis, questa fabbrica continua della composizione umana. Ecco perché, a partire da una testimonianza vera dei credenti, si può esigere, anche da chi credente non è, che si accorga di quell’essere curato per poter disinteressatamente prendersi cura: capi o capetti della politica, che non si inventano ma si riconoscono messi lì a vivere di onestà e competenza. E di capacità sull’una e sull’altra. Che non si danno se non ci si riconosce nei propri limiti per specchiare al vero quelli altrui. Se la politica è la strada dei compromessi, non lo può mai essere al ribasso; e se la fede è quell’urgenza difficile che ti fa distinguere dalla religione, non può mancare il perché ultimo: per non arenarsi dentro una città terrena che si rinchiude in se stessa, negli interessi del mondo che separano dalla speranza ultima che regge questa consorteria provvisoria della terra. Capaci di onestà e di competenza: su di sé per incontrare gli altri in verità. E servirli senza lasciarsi fermare dagli steccati delle diversità. Umane e culturali. Solo così si è un buon politico e un buon curato.