Possibile che sia sempre una questione di soldi? Quando succedono incidenti mortali negli ospedali, più o meno colposi, le prime parole sono “voglio giustizia”: e subito si capisce che si intende dire soldi; a meno di tre giorni dal dramma del pilota che porta alla morte con sé tutto un aereo con il suo carico di vite, subito si ipotizzano 38milioni di euro che la compagnia dovrà pagare ai familiari; e il risarcimento per quel Lele che ha passato otto anni tra processi e carcere, il giorno dopo (il giorno dopo!) lui lo monetizza in mezzo milione di euro. Ora, si capisce tutto, perché se capitasse a noi… Ma almeno il tempo del pianto urlato o sommesso, il tempo dell’elaborazione di una perdita! O, nel caso dell’imputato (ora ex) del delitto di Perugia, qualche giorno di assaporamento della libertà. Macché. No, subito il dio denaro. Le ragioni del fatto? Medici incapaci, piloti incompatibili, giudici in mala fede? Non interessa cercare, non ci si danno interrogativi: che ci sia subito un colpevole, e da utile capro espiatorio paghi il mio lutto. Che già usare la parola pagare dovrebbe infastidire anche un cammello. Ma ci sono psicologi da rimunerare, cure mediche per indotte depressioni: certamente, e indiscutibile. Ma subito? e subito il pensiero ai soldi? Per altre situazioni, si è inventato il termine di vedove allegre: che è crudo, ma molto descrittivo di un breve pianto che si tramuta in perdita della memoria affettiva. E dietro ci stanno gli avvocati (a parte i miei amici): che si fanno pagare a percentuale di quanto il cliente riesce a lucrare; e che, succede, riescono a ottenere per il nome che si sono fatti, più che per i fatti. Giudici succubi? ora soprattutto che possono temere d’essere a loro volta chiamati in giudizio dagli azzeccagarbugli di fama? In una stagione in cui i modelli offerti soprattutto alle giovani generazioni sono quelli della vanità, del successo a ogni costo, dell’esibizione, dell’incontinenza verbale e comportamentale, i cristiani dovrebbero avere il coraggio e la franchezza di testimoniare notizie capaci di aiutare gli uomini a percorrere cammini di liberazione e non di asservimento a idoli e miti illusori e fallaci. Soprattutto all’idolo del denaro, il massimo oppositore del Dio evangelico. Soprattutto là dove si tratta di vita: perduta o assassinata. È così difficile vivere la libertà dall’avere? Dalla micragneria che, secondo un altro detto nostrano, farebbe uccidere persino la propria madre, per ricavarne profitto? È la settimana santa: e la memoria dei trenta denari è lì ad interrogare chiunque potrebbe consegnare il Cristo nei poveri cristi. Che sia un pilota ammattito, o un medico deconcentrato, o un giudice cui è chiesto di guardare dentro l’ingiustizia senza favoritismi, e tuttavia potendo sbagliare. E pure che sia un avvocato avido: per rimediargli un’altra sete che non sia quella dei soldi.