Oggi non la userei più, dice il filiforme cardinale ultraottuagenario, che fu il pensatore sottile dagli anni novanta fino al primo decennio di questo secolo; e fu il determinante di assoli di potere con controparti nazionali, ma, apparentemente (!), solo con certe parti. Eppure è un uomo di fede, e conosciuto fuori dalle stanze dei bottoni, è uomo di grande carità: ho avuto modo di constatarlo di persona, alcuni anni fa. È possibile uno sdoppiamento così? Ma è uno sdoppiamento? O è nella natura di incarichi così delicati – muoversi tra cielo e terra – una dissociazione necessitata? Nell’ultima intervista che concede, lì appunto lo si ammira in tutta l’eloquenza di un diplomatico pastore di anime: che ha deposto il pastorale, ma ancora c’è, a rassicurare gli uni e gli altri, ma più gli uni. Parla bene del papa, e come non potrebbe; respinge con nonchalance, anzi definendola ridicola, la gigantesca operazione di marketing per pubblicizzare un libro contro Bergoglio (di un giornalista schierato, che sicuramente è degli uni; pagine in cui si vede, tra l’altro, il livore per non esser stato graziato da una telefonata pontificia, come i suoi odiati colleghi della stampa avversaria – libro da non comprare: l’equivalente in euro a san Francesco di Sales, patrono dei giornalisti, perché mandi una ponderosa benedizione all’astioso che l’ha scritto). E poi però, sempre l’amabile cardinale, e sempre con nonchalance, definisce un piccolo attacco, piccolo, quello che l’editoria di destra sta sferrando su carta e in internet contro Francesco papa: ma, dice, è solo per rispondere a chi dalla sponda opposta vuole appropriarsi di questo papato. Ma insomma, cos’è che non userebbe più? È una formula, della quale da molto tempo abbiamo in molti contestato la divaricazione dal Vangelo, e tuttavia riproposta come un mantra da chi non aveva più gli argomenti del sabato di Gesù: e dunque la centralità della persona. Valori non negoziabili? Ma quando mai! Nel vangelo si parla di consigli, non di valori. E che sono i valori, in un mondo dove l’antropologia cambia ormai ad ogni cambio di luna, se non ad ogni tramonto di sole? Finalmente il nostro cardinale dice che oggi non ha difficoltà a rinunciare a una espressione che spesso è stata equivocata, dice. Ma per immettersi subito nei bizantinismi da cardinal sottile, che di fatto chiudono ogni possibilità di tradurre per l’uomo di oggi gli interrogativi sulla sua sofferenza. Comunione ai divorziati? unioni civili? benedizione di un’unione dopo un cammino penitenziale, alla stregua dei cattolici orientali? C’è una dottrina? si segua quella, dice, anche il papa non può cambiarla. Al più dice: papa Francesco ha una sensibilità diversa. Diversa da cosa? da papa Wojtyla temprato nella battaglia contro il comunismo; e papa Ratzinger grande teologo tedesco? e dunque papi non calati nella complessità quotidiana dei sentimenti, impegnati, come son stati e forse a buona ragione, dai massimi sistemi? Quel che non si dice, a volte traspare, secondo il detto che a sospettare la si indovina. Una paura che crolli la Chiesa retta sulla dottrina teologica, come se il pericolo che crolli non fosse là, e solo là, dove le si toglie il Vangelo del Signore. “C’è la regione dei principi: guai a non percorrerla. Guai a non lasciarsi interrogare dall’onnipotenza delirante che spesso ha preso l’uomo: il macabro a cui si arriva partendo da ricerche scientifiche è storia nazista, ma non solo. Ma anche: guai a non percorrere le contrade della sofferenza umana, guai a non immergersi per intero nell’attualità degli uomini: si rinnegherebbe il Vangelo, la bella notizia di liberazione dal male che Gesù ha lasciato in eredità ai suoi perché la trasmettessero in ogni tempo secondo il sapere proprio di ogni tempo: che è sapere di scienza, ma anche sapere sull’uomo sempre più rivelato a se stesso. Guai a noi, se non esercitassimo la misericordia: e cioè la com-prensione, il conoscere che mette l’altro in sé”. Lo scrivevo qualche anno fa, come prima reazione a quell’infelice espressione. Il Signore può sempre stupire: purché si combatta quel fariseismo che ci impedisce di vedere la sua paternità fare festa a chi ha sbagliato.