A me succede, a volte. Le facce di migliaia di alunni che ho incontrato all’Esperia le ho tenute nitide a lungo: incontrarli in città, ormai giovani avviati all’età adulta, cominciava da un salutarsi da lontano. Poi, inevitabilmente, quei lineamenti mi sono stati rubati: sia per la peculiarità della memoria – che rimpicciolisce man mano si arricchisce di nuove conoscenze, oltre che per il macello dei neuroni dell’età che avanza – sia per i ritocchi di

fisionomia a cui lavora inesorabilmente il tempo su tutti. L’imbarazzo di essere riconosciuto senza riuscire, subito, a riconoscere, penso che molti di voi lo capiscano. Me la cavo di solito con una battuta: o sulla pancetta altrui, o sui capelli che ambedue abbiamo nel frattempo perso.

Ma quello che a volte succede… Incrociare sul marciapiede qualcuno, e gli occhi – suoi e miei, prima e oltre la memoria – si corrispondono: non è questo il verbo che può descrivere più propriamente la cosa, ma non ne trovo altri. Se dico che è un riconoscimento dell’animo astratto da quello fisico, dico qualcosa che si avvicina. Come se l’impronta di un incontro si fosse ancorata alla mia vita, a prescindere dalla storia che poi si è svolta per me e per l’altro, con gli indubbi smarrimenti che provoca. E così, quel ritornare di ambedue sui cinque passi necessari per passare alla determinazione di volersi rendere conto – al di là che non si sappia ancora se è vero ciò che si percepisce – diventa una emozione: sei tu, e tu chi sei? Uno sguardo che rompe il sigillo del tempo, e fa riaffiorare una gratitudine o un affetto; o allontana il timore di un abbandono. Sempre una gioia.

Sull’importanza dello sguardo umano vi ho scritto altre volte: anche perché il vangelo se ne nutre e ci nutre. Come raffigura in modo insuperabile Duccio di Boninsegna, descrivendo l’epilogo del vangelo di Giovanni. Gli altri evangelisti hanno tramandato altre pesche miracolose. Ma qui è pesca pasquale, è il riconoscimento di Colui che era sparito nella morte, e nella morte di croce, ed ora riappare preparando loro il fuoco del pasto. E il pittore lo racconta così: con Pietro che cammina sull’acqua guardando Gesù; e Tommaso, Natanaèle, Giovanni e Giacomo, le mani alle reti e uno sguardo perso in Lui; e altri due discepoli che fissano l’uno i pesci ancora guizzanti, l’altro noi che osserviamo, quasi a chiamarci dentro il miracolo che si è pronunciato dopo una notte infruttuosa.

È sguardo che l’artista lascia a ciascuno di intendere come vuole: sia nello stupore incredulo di chi è piegato sul pescato; sia nella commozione del ritrovamento tangibile di Colui che si credeva perduto. Non meno importante il primo del secondo: Colui che è ritornato porta con sé quanto si desidera, e ben oltre il bisogno. Si fa riconoscere anche in ciò che dà. E mantiene le promesse di una vita piena: e come potrebbe mancare se ha sconfitto perfino la morte? Ma lo sguardo dei quattro, e di Pietro, è nei suoi occhi: quasi a farlo risalire da quell’intimità che si credeva perduta per sempre. E insieme a farsi rassicurare giorno e notte della sua presenza nella fatica del quotidiano: un fuoco di brace, e il pane; e quei pesci, che raccontano l’affettuosa premura del Signore definitivamente. ritrovato.