Questo era il tema dominante dell’ultima lettera del Santalucia: per una esercitazione sull’essere cristiani nella concretezza della vita civile. Ma ho usato uno stile difficoltoso, al dire di più d’uno: me ne scuso. Un tema, che voleva raccontare i boati di questi mesi pre-elettorali, che solo negli ultimi giorni ha spostato l’attenzione su qualcosa di molto più appassionante della laicità o meno dello Stato: le tasse dello Stato. Ma perché dovrebbe

essere più avvincente il discorso delle tasse rispetto a quello sulla laicità, se non perché quello tocca il portafoglio? Forse perché è ormai accettata l’impudicizia di chi si vanta di far soldi – tanti e troppi? O perché è mammona che domina la vita di chi crede senza Dio? Così si torna alla laicità: che cosa è, e di chi è.

È forse più laico chi imbastisce la sua campagna elettorale sui temi etici (non ci si scandalizzavamo forse, ai tempi in cui ancora si studiava la storia, dell’idea di uno Stato etico?), o chi cerca di rispondere alle regole di una convivenza che metta al centro i bisogni veri delle persone? Possono i cristiani essere laici? Ma se addirittura è una definizione ecclesiale! Si chiamano così quelli che non sono chierici, e ci stanno da cristiani pieni come i chierici. Dunque la Chiesa è fatta dai chierici e dai laici: evangelizzatori del mondo in nome di Cristo gli uni e gli altri. La definizione del catechismo del papa Pio decimo – lo scrivo per i più vecchi che non si sono ancora rassegnati al fatto che la terra giri, e su di essa l’uomo ad ogni giro si scopra un po’ di più nella trama del proprio tessuto di deficienze e di pregi; e per quei giovani che hanno purtroppo lo sguardo voltato all’indietro – la chiesa dunque di quel catechismo rappresentata in docenti e discenti è del tutto impropria: tutti sono allo stesso modo discepoli del Cristo, e tutti maestri gli uni degli altri, pur nel riconoscimento di compiti distinti. Una laicità che per la Chiesa vuol dire in concreto illuminare le coscienze con gli argomenti del giorno, gli argomenti per una vita buona: aborto e eutanasia certo, ma senza dare per scontato che vita è anche la disperazione che affolla i barconi di chi scappa dalla fame e dalla violenza; e vita è anche l’umile riconoscimento di complessità umane che nelle loro diversità chiedono di essere protette. Sono poi cose che la Chiesa fa (e certi laicisti no; parlano, parlano e non fanno). Ma cose che la Chiesa non sa mettere nella sua agenda di annuncio quando afferma di non schierarsi, ma poi non stende l’elenco completo: o si dice tutto, o ci si schiera. Quando si richiamano i valori, occorre non mettere parentesi: la famiglia, certo, ma anche il non accomodamento con chi si toglie dal mazzo dei consimili che ipocritamente condanna. La non-violenza, ma anche il diritto all’uguaglianza dei cittadini; e dunque, a chi lavora a ricchezze che altri accumulano, occorre riconoscere una dignità dell’esistenza che non può essere servita dagli spiccioli che cadono dalle tavole degli epuloni: non è forse ora di ripetere a indiscutibili lettere – sull’orma degli ammonimenti di Giacomo e degli Apostoli – che è inaccettabile tra i cristiani la divisione tra i pochi straricchi e i molti altri che s’impoveriscono sempre di più? E, infine, la coerenza educante: nell’agenda delle attenzioni stilata dai vescovi, può mancare la denuncia della volgarità che da vent’anni entra nelle case con la tv: che indirizza generazioni di ex frequentatori delle parrocchie al successo senza fatica, ai soldi facili, e alla litigiosità eretta a spettacolo; e generazioni di giovani al velinismo, l’impudicizia di mestieri senza impegno? Laica è la Chiesa, e cioè libera, per il Vangelo che le è dato. Tanti altri, checché si riempiano la bocca, laici non sono. Perché non sanno vedere tutta la vita, ma s’affannano sui bordi: e solo per il mestiere di straparlare per esserci. Dunque i cristiani non si lasciano spaventare dalle loro ingiurie: esse hanno la stessa ottusità di quelli che, ai piedi della croce, sbeffeggiavano il Crocifisso. Che sarebbe disceso dalla croce, ma quando avrebbe voluto lui: e da Risorto.

Questo volevo raccontare. Perché la pasqua è liberazione dalle schiavitù: la peggiore delle quali è vivere in terra di minuscoli faraoni, che ricavano luce ciascuno dalla meschinità dell’altro.