E’ più facile occupare una chiesa che la torre Eiffel, ha detto il cardinal Lustiger di Parigi. E si riferiva a quei sans papiers che sarebbero poi stati espugnati da Saint-Bernard un mattino presto dello scorso agosto. Una delle tante tragedie di quest’estate, il segnale di un mondo che non regge alla composizione dei diritti e dei doveri dei popoli che s’incontrano: per scelta o per disperazione.
La Chiesa si trova spesso in mezzo alle politiche-spettacolo, suo malgrado. Perché se qualcosa proprio non appartiene alla Chiesa è di misurarsi con i trionfalismi del mondo; e se qualcosa di pernicioso le può davvero accadere, è di lasciarsi tirare da una parte o dall’altra. Quando si dice che la Chiesa non è di destra né di sinistra si è immediatamente soggetti all’accusa di non essere evangelici, perché, si grida, il Vangelo o chiama ai poveri o non è. E per poveri si intendono normalmente solo quelli descritti da una sociologia economica: ed è questa tragica riduzione dell’uo-mo che finisce per ridurre il Vangelo a poco più di un manuale di convivenza.
Poveri sono certamente coloro che fanno fatica a mangiare; e ricchi -sono quelli che non spartiscono per avidità. Ma poveri sono anche i bambini a cui la vita è tolta, e i ragazzi a cui la vita non viene insegnata: per la stupidità dell’uomo che rinuncia ad essere creatore. Poveri sono i facoltosi che son lasciati soli, perché i loro soldi gli bastano, si dice; e poveri i malati che non vengono curati se non per un tornaconto. Poveri certamente gli islamici che capitano da noi, e poveri anche i cristiani che vivono nelle loro terre. Poveri son quelli sbattuti sotto un ponte, e poveri son quelli che finiscono sul marciapiede per l’abbaglio di una ricchezza facile, o di una vita libera.
Ma i poveri per il Vangelo sono soprattutto altri: quelli che mancano di fede, speranza e carità. I più poveri sono quelli che cercano in se stessi la salvezza. O la cercano in uomini loro simili. Nell’assentarsi dal mondo, Gesù il Cristo ha lasciato una Chiesa: che non è un optional; che non va presa per gli spizzichi che piacciono, o lasciata perché non dice ciò che ci si aspetta. Una Chiesa che non è né popolare né clericale, ma dove tutti obbediscono allo Spirito, insieme, senza fratture né particolarismi. Un luogo e un tempo dove ci si raduna per ascoltare la Parola e spezzare il Pane, imparando la missione della parola e del pane per chiunque si incontra.
Ci sta dinanzi un tempo per scoprire il bene che la Chiesa è: nei suoi avvertimenti e nei suoi incitamenti, nella sua accoglienza e nell’intimità che fa nascere tra coloro che s’affidano. Forse per questo è più facile occupare una chiesa per i diseredati del mondo: perché sanno di trovare lì non solo uomini e donne compassionevoli degli altri, ma donne e uomini essi stessi afflitti e tuttavia consolati.
Perché hanno occupato Dio per la propria e l’altrui vita.
ottobre ’96