Ritorna la celebrazione estesa della Pasqua nelle nostre comunità, con quella pagina di Atti 2 che ha deciso il battesimo delle genti, e insieme un metodo per l’evangelizzazione. Nella Pentecoste è il Risorto che parla: senza compiere violenze sui linguaggi degli uomini, si fa ascoltare da tutti, medi ed elamiti, giudei e greci, schiavi e liberi. Affidando per sempre alla Chiesa la voce dello Spirito. Che lingua parla la Chiesa, oggi? È una lingua che incrocia le domande degli uomini, dentro una vita che non va rappresentata ma consumata?
E dunque incrocia gli uomini, le loro passioni e i loro tormenti?
Che immagine dà di sé, con le sue parole, con i suoi silenzi e con i suoi gesti? Se si mettono in fila alcuni fatti, diversi tra loro, che chiamano un diverso giudizio e una diversa reazione, si può, credo, intonare il convincimento di una Chiesa che trova nella contraddizione evangelica il nocciolo della propria universalità. Ma se le contraddizioni stridono? Se non riportano a una unità, e dunque dividono, feriscono, lacerano la veste da un pezzo solo del Cristo?
Alla Chiesa lo Spirito sta dando un Papa grande nella sua personale sofferenza, e insieme un test perché nessuno si permetta di sostituirsi alla singolarità del suo ministero.
Che si stabiliscano quattro nuove diocesi “per il bene del popolo santo di Dio” (ma quale?) la Chiesa lo deve, per rendere presente la confessione cattolica: ma la disputa sul proselitismo in Russia, che si fa acuta, che non si lascia fermare neppure da consigli disinteressati, pare non nutrirsi della virtù dell’attesa. Se si facesse dietrologia, si direbbe che abbiano bisogno (ma chi?) di completare un album dei successi.
Vi sono beatificazioni a profusione, un ottimo segno di sconfitta della aristocrazia della santità: ma quasi tutti, quei beati, spariscono il giorno stesso con il telo rimosso dalla facciata di San Pietro, spariscono nelle teche dei loro pochi fautori. Trovano posto canonizzazioni che riuniscono devozioni e modi di professare la fede anche opposti, che comunicano certamente una cattolicità: fatti santi a furor di popoli (o elamiti o medi), padre Pio e Escrivà de Balaguer, rispondono alle aspettazioni o dei ceti popolari o dei ceti che contano davanti al mondo. Ma, ci si chiede sui sagrati delle chiese, non esprimono forse una Chiesa che si bea dei numeri, che poi nutrono quell’immagine di potenza che non si oppone con la debolezza della Croce ai pensieri del mondo?
Gesti, ma anche silenzi stanno alimentando un innegabile disagio all’interno della Chiesa. Gli unici che paiono non accorgersi sono forse i Vescovi nel loro insieme? Decisi su tante questioni, ma oggi talmente super partes in altre, da fornire inconsciamente alibi a una neutralità non evangelica. O alcuni preti? Un giornale fa un’inchiesta sulla fede dei giovani, in una diocesi considerata da sempre ultra-cattolica: e se scaturisce che non c’è riconoscimento di fede cristiana per almeno ottanta dei cento – che si sono nutriti di almeno sette anni di cammini di iniziazione, di sacramenti, e di scuole cattoliche – che reazione hanno i preti cosiddetti intelligenti? Si sapeva già, inutile dirlo ad alta voce, e, sussurrano, è una manovra dei “movimentisti” contro i “parrocchiali”. O quei laici così affezionati al tempo della cristianità, da non potersi pensare al di fuori di essa? Negano ogni evidenza, e negando il cambio epocale si rassicurano chiudendosi nei piccoli ghetti dei definitivamente scandalizzati. Quello che conta, sostengono, sono i princìpi, i vissuti sono marginali. Hanno ragione nel dire che la montagna non casca mai: ma intanto li seppelliscono le frane.
Se la verità cristiana è verità di intelligenze, se il Vangelo da racconto diventa un catechismo – avrà pur senso che queste cose siano dette su una rivista che si occupa di catechesi ma sotto il verbo evangelizzare! – se prevale l’aspetto didascalico, è allora comprensibile che molte comunità si aspettino il prêt-à-porter delle lezioncine dottrinali, e delle norme morali. Un prêt-à-porter dismesso con la stessa facilità con cui è stato indossato, quando cambiano le mode: se non è un modo di essere, un sentire interiore che nasce dal raccontarsi attorno al fuoco della Chiesa, quanto sono contraddetti da una limpida condotta, da una voce che si alza in profezia, da un silenzio che è pazienza di croce?
Come comunicare il Vangelo? I Vescovi italiani sentono che è una questione di lingua, che è una questione da nuova Pentecoste. Come farsi capire da ciascuna storia, di ciascuna persona, è la nuova sfida.