Questa irrinunciabilità allo spettacolo superfluo! La sera dell’8 dicembre e la facciata di San Pietro: un ulteriore segno di come non bastino, ad alcuni, i segni che ci sono consegnati in una solenne sobrietà, che non offuschi l’essenzialità nella improprietà del come si annuncia. Il portale spalancato dalle tre spinte del papa (a sostituire il folclore di un martello fuori tempo): a dire le mani dell’uomo chiamate a sporcarsi contro la resistenza dei muri a farsi portali d’accoglienza; l’incontro di Francesco con Benedetto, che ha fatto del suo essere il già-papa un esempio di nascondimento: a ricordarci quel “c’è tempo per ogni cosa” del libro biblico, e per tutti; e la preghiera del pomeriggio in piazza di Spagna, all’Immacolata issata su quella colonna che data due millenni: a indicare a ciascuno di quale bellezza siamo stati privati dal delirio dell’obbedienza a sé dell’uomo, creatura contro Creatore. Segni che raccontano; segni che non nascondono. Segni d’inizio di un giubileo dedicato a ricordare che il Misericordioso sta a vedere quale misericordia rinasce in chi ha creato a propria immagine e somiglianza. Ed ecco, invece, quei volatili più o meno appetibili, quel salto di tigri e di ghepardi, quegli immusoniti pesci in muta strisciata, per raccontare, ci hanno detto, l’enciclica Laudato si’. Immagini dei più bravi e conosciuti fotografi mondiali, per, hanno detto, illuminare la casa comune. Cinquantatre anni prima altre luci in quella piazza: migliaia di fiammelle appese a mani di uomini e di donne, a salutare l’inizio di un Concilio radunato per cambiare il come si dice al mondo il Vangelo. E nessun telefonino a distrarre dall’esserci, dentro e del tutto, come oggi accade persino a vescovi e preti che si autoflessciano, mentre son lì a celebrare. Altro mondo? Altra storia? Non altra però la tentazione di annacquare; e forte il tentativo di non lasciarsi disturbare, appunto, dall’essenzialità. Con un papa come Francesco è facile cadere in una nuova papolatria: si guarda al papa, e meno al Vangelo che predica. O lo si riduce, il papa e con lui il Vangelo, a un nuovo panteismo, che per raccogliere tutto e tutti, rinnegherebbe le differenze: della fede e delle relazioni. Alla fine, le differenze delle persone: così tradendo l’essenza di questo gesuita, che del papato fa un servizio di ripulitura della trasmissione della fede cristiana, riportando nell’oggi l’intento di papa Giovanni declamato all’apertura del Concilio: “Una cosa è infatti il «depositum Fidei», e un’altra è il modo col quale esso è enunciato però conservando lo stesso senso e la stessa sentenza”.  All’inizio dell’anno giubilare potevano risparmiarci quella scivolata in un ecologismo senza uomo: esattamente all’opposto di quanto Francesco ha invitato nella sua lettera all’Urbe e all’Orbe, chiamando a un amore per la natura, a servizio e non a dominio sull’uomo. Ma c’è chi sta ritessendo le parole alle prime pagine bibliche, datando non solo il dono ma anche il Donatore. Dicono – senza dire apertamente, ma fanno – dicono datato l’ammonimento del Signore Dio che dà all’uomo flora e fauna, perché le usi a rimodellare continuamente il creato. In bellezza, senza violenza, certo: ma non bambini posposti ad animali! E’ antico detto: misericordioso è il medico senza misericordia, senza una compassione falsa, fuorviante. Questa autentica misericordia occorre al mondo. Questa la misericordia che non trasformi l’insegnamento del papa in esortazioni da buonuomo.