Chiesa italiana in convegno a Firenze per darsi una indicazione di cammino per i prossimi anni. Già visti, convegni così. Ne sono uscite parole belle, colte, raffinate. Come hanno inciso sul corpo delle comunità cristiane? Che cosa hanno detto alle folle che della Chiesa sanno solo gli edifici per i riti di passaggio della vita, ma senza che ne colgano la vita di Gesù Cristo? Insufficienze che non devono frenare dal cercare di nuovo. E questo è il senso ultimo di cinque verbi che questo convegno si è dato. Verbi, cioè azioni. Nutrite da parole, ma azioni. Cinque vie che passano attraverso l’incarnazione di Gesù Crsto, Dio nella tenerezza e nella fragilità della carne umana.  Uscire: dalle sacrestie, dalle proprie strutture, è per eccellenza la missionarietà della Chiesa, chiamata a non rattrappirsi su se stessa, su certezze rese obsolete da un uomo che evolvendosi conosce l’altro di sé; e che dunque la possono tenere lontana dal campo in cui vivono la loro quotidianità oggi gli uomini e le donne; uscire è rischiare, ma è condizione per incontrare, per accorgersi dell’altro. Uscire per annunciare: per dire il nuovo che da duemila anni risuona senza ancora avere colto il cuore dell’uomo. Un annuncio di salvezza che è oltre l’uomo, e solo nell’umanità di Cristo trova il proprio cuore. E in Gesù trova il metodo della vita dei discepoli, che è l’abitare l’umanità, immergendosi, stando accanto, affiancandosi, non temendo di inzaccherarsi nell’inevitabile lato sporco del mondo. Una Chiesa che sa educare, tirar fuori il meglio di cui la creazione ha dotato l’umanità: senza sovrapposizioni che soffocano, senza induzioni che non tengano conto della unicità del vissuto di ciascuno; indirizzando il bene al meglio, e lasciandosi così educare mentre educa. E la via, infine del trasfigurare: per non lasciare nessuno nella pochezza della terrestrità, indicando allo sguardo orizzonti che danno senso alla fatica del vivere; senza tuttavia fughe dal mondo, senza illusioni, e senza abbagli che impediscano di vedere l’oltre di sé. Una chiesa che si incarna, svestendosi dagli orpelli che inducono a spiritualismi che conducono lontano dal volto di Dio rivelato nell’uomo Gesù. Cinque vie che si intrecciano: educare all’annuncio di un Salvatore del mondo, che trasfigura il tempo presente nella bellezza definitiva promessa: ma solo a condizione di uscire ed abitare il tempo presente. Riusciranno le parole a diventare azioni? Il metodo è indicato da Francesco: “In ogni parrocchia e istituzione, in ogni diocesi e circoscrizione, cercate di avviare, il modo sinodale”. Fuori finalmente da quegli organismi di partecipazione – così come sono stati avviati da cinquant’anni a questa parte – che hanno dimenticato la partecipazione per vivere di statuti; e così proponendosi in arrocchi che non chiamano ad uscire da schemi artefatti, e dunque non annunciano se non se stessi, rinunciando ad educare il popolo dei discepoli, là dove non abitano più il mondo che interroga. Una volta di più chiamati a costituire, sull’esempio dei fratelli separati, quei Consigli di Chiesa della Comunità, dove non si teme il confronto e la critica, per liberare la teologia dal pericolo di insabbiarsi in ideologie che allontano dal Vangelo. Insisto sulla sinodalità: ne ho fatto esperienza, e pur nei suoi limiti, ha saputo creare quello spirito di novità spalanca la porta allo Spirito. Per evangelizzare insieme, popolo e pastori.  9 novembre 2015