Quella sera ormai lontana del 3 giugno 1963 si abbassarono saracinesche, le piazze si svuotarono, e si fermò il mondo, o almeno tutto il mondo allora raggiunto da radio e televisione. Era morto un vecchio papa, il papa Giovanni come familiarmente era stato chiamato. Si conoscevano di lui i gesti molto accattivanti verso carcerati e bambini, si erano ascoltate parole suadenti. Lo si era detto papa buono, ma non, allora, nell’accezione virtuosa: si tendeva a descriverlo bonario e bonaccione, o con quelle note di buonismo che solo in tempi più vicini ai nostri sarebbe diventato una moda volgare. Quella sera, il silenzio che ha commosso anche chi nel papa non vede un simbolo particolare, poteva già rivelare di lui ben altro. Solo la distanza dalla sua esistenza mortale, e solo la vicinanza a quell’arco della vita – che dal suo “villaggio nativo si piegò fra le cupole e i pinnacoli di San Marco” per risalire vertiginosamente verso la cupola di San Pietro – ne avrebbe restituito l’immagine piena di un uomo, totalmente dedito. La più grande sorgente di conoscenza di Giovanni sarebbe stato Il Giornale dell’anima: una raccolta che copre tutto lo spazio da piccolo seminarista a papa. Un diario della sua anima, uno svelamento del mistero di una storia così improbabile: il gioco della Provvidenza, come l’avrebbe chiamato il Balducci, che conduce dove non ci si aspetta di arrivare. Che cosa sarà di me nell’avvenire? Sarò un bravo teologo, un giurista insigne, un parroco di campagna, oppure un semplice povero prete? Che importa a me di tutto ciò? Devo essere niente di tutto questo e anche più di questo secondo le disposizioni divine. Il mio Dio è tutto: “Deus meus et omnia” (Il giornale dell’anima, anno 1904). A Guitton, il filosofo francese, disse una sera a Castelgandolfo, davanti all’Osservatorio astronomico: “Io mi accontento, come Abramo, di avanzare nella notte, un passo dietro l’altro, alla luce delle stelle”.  

Il gioco della Provvidenza

Nell’educazione cristiana che ha ricevuto in terra bergamasca, la Provvidenza era l’inquilina di ogni cosa: chiamata, contemplata, sperimentata. Era il sostegno di una grande povertà, e il grande angelo per ogni rischio che la vita comportasse. Dio provvedeva e lo si vedeva: a posteriori certo, ma la fiducia in Lui preparava il bene per ciascuna famiglia e per ogni persona. Una certa qual dotazione dell’animo contadino ha predisposto la quiete del suo animo, che non si può apprezzare in modo vero se non dentro questa certezza del disegno di Dio, che precede ogni desiderio. Si è visto dalle carte che lo riguardano, che tutti gli impegni che via via gli sono stati richiesti sono nati in seconda battuta, e quasi per sostituzione – dall’essere segretario del vescovo di Bergamo, all’andare a Roma come responsabile delle opere missionarie d’Italia, alla nomina in Bulgaria e a Parigi, fino alla chiamata del tutto anomala a Venezia, ancor prima della morte del patriarca suo predecessore. Ripensando al modo e alle circostanze, alla spontaneità con le quali questo disegno della Provvidenza, per mezzo dei superiori, si è improvvisamente manifestato e si viene ora svolgendo, mi sento intenerito, e costretto a confessare che veramente il Signore è qui. Quante volte, raccogliendo a sera gli episodi della giornata, trascorsa tra le cure dei miei cari giovani, sento in me qualcosa di ciò che faceva tremare, come nel contatto con il divino, il cuore dei due discepoli sulla via di Emmaus. Oh, come è vero che basta fidarsi completamente del Signore per sentirsi provveduti di ogni cosa! (ibid., 1919) La Provvidenza lo conduce, e lo riconduce: e lui risponde con virtù che sono ben lungi da quei tratti di ecclesiastica furbizia o di incosciente ingenuità, che gli sono stati rimproverate dentro e fuori i Palazzi vaticani, lui ancora vivo. È interessante che la Provvidenza mi abbia ricondotto là dove la mia vocazione sacerdotale prese le prime mosse, cioè al servizio pastorale.Ora io mi trovo in pieno ministero diretto delle anime. In verità ho sempre ritenuto che per un ecclesiastico la diplomazia così detta deve essere permeata di spirito pastorale; diversamente non conta nulla, e volge al ridicolo una missione santa (ibid., 1953). Ci si è divisi spesso nel giudizio su papa Giovanni. Di fronte alla immensa schiera di chi non ha visto in lui peccato, ci stanno tutti gli avvocati del diavolo che lo hanno marchiato di una vita facile. Dove per lui la croce? Ha tutti gli onori di una carriera ecclesiastica, tutta la salute e la forza che durano fino agli ultimissimi anni, e le acclamazioni dei popoli, acclamazioni che lui stesso nota ripetutamente nel suo Giornale, pur con il palese distacco di chi vede ben oltre gli osanna degli uomini: dove la persecuzione che contraddistingue i discepoli del Signore? L’immagine di san Francesco di Sales che mi piace ripetere con altri “Io sono come un uccello che canta in un bosco di spine”, deve essere un perenne invito per me. Quindi, poche confidenze su ciò che può farmi soffrire. Le pene, attraverso le quali nei decorsi mesi il Signore ha voluto provare la mia pazienza, per le pratiche circa la fondazione del seminario bulgaro; la incertezza che perdura da oltre cinque anni quanto ai compiti definitivi del mio ministero in questo paese; le angustie e le difficoltà di non poter far di più, e del dovermi contenere in una vita di eremita perfetto, contro la tendenza del mio spirito alle opere del ministero diretto delle anime; il malcontento interiore di ciò che c’è ancora di umano nella mia natura, anche se sin qui sono riuscito a tenerlo in disciplina: tutto mi rende più spontaneo questo santo abbandono, che vorrebbe insieme essere elevazione e slancio verso una imitazione più perfetta del mio divino esemplare (ibid., 1930). Se dopo una nota così, la conclusione è: “Intorno a me, in questa grande casa, solitudine assoluta e bellissima, negli effluvi della natura in fiore; in faccia, il Danubio; e al di là del grande fiume, la ricca pianura rumena, che nella notte talora rosseggia pei depositi petroliferi in combustione” – come dubitare della preziosità della genuinità della gioia che ha saputo comunicare?  

Le fonti di una spiritualità

Fin da seminarista compare nelle sue meditazioni il nome di Tommaso da Kempis con la sua Imitazione di Cristo: opera che rappresenta la migliore sintesi dello spirito che suscitò la Devotio moderna. Caduto in disuso (purtroppo?) dal Vaticano II in poi, il libro – che per quattrocento anni ha avuto un’accoglienza straordinaria sia in campo cattolico che no – fu il testo su cui plasmò per tutta la vita i suoi esami di coscienza, la sua sintesi delle virtù. Ci son poi arrivato ad ottenere, per prezioso ricordo del [mio] parroco, il suo Kempis, quello istesso che egli, sin da quando era chierico, usava tutte le sere. E pensare che su di questo libricciolo egli si è fatto santo (ibid.,1898). Non da solo, certo, ma se il Kempis ha prodotto la vita benedetta di un uomo come papa Giovanni, ci si può chiedere se le vie della santità possono prescindere da maestri che riconducono all’intimità pensieri e azioni, prima che pensieri e azioni si perdano nelle regioni affannate del mondo.                                                                                                                                                                                   Di san Francesco di Sales, già citato, è invece l’assimilazione della vita, e in altro modo il segreto della vita di mansuetudine di Giovanni. E’ dal vescovo di Ginevra che attinge il profilo di una santità eccezionale nella “normalità” delle pratiche cristiane; e, a partire da lui, a proporre la modernità di una vita semplice, di un pensiero non complicato. La semplicità che lo fa arrischiare senza particolari patemi di indire un Concilio, la semplicità che non gliene fa calcolare i tempi, ma che affida allo Spirito l’evoluzione delle cose, viene da lontano. Oggi fu un giorno di festa completo; l’ho passato in compagnia di san Francesco di Sales, il mio santo dolcissimo. Che bella figura di uomo, di sacerdote, di vescovo! Se io dovessi essere come lui, non mi farebbe nulla anche quando mi creassero papa. Mi è dolce il ripensare sovente a lui, alle sue virtù, alla sua dottrina; quante volte ne ho letto la vita! come le sue sentenze mi scendono soavi al cuore! come mi sento più disposto ad essere umile, dolce, tranquillo, alla luce dei suoi esempi! La mia vita, il Signore me lo dice, deve essere una copia perfetta di quella di san Francesco di Sales, se vuole essere feconda di qualche bene. Niente di straordinario in me, nella mia condotta, all’infuori del modo di fare le cose ordinarie: “omnia communia sed non communiter”. Ecco tutto (ibid., 1903). Un ecco tutto che riassume al meglio il metodo dell’anima che si apre allo Spirito. Una santità comune, formatasi nel cammino di un popolo, anzi di tanti popoli: li serve, ma ne è servito in ulteriore conoscenza. Quanto avverrà di universale durante il suo papato è sostenuto dall’acutezza nell’osservare, dall’umiltà di apprendere. Le doti che mostrerà al mondo produrranno il miracolo di un santo che piace. Di un santo che attinge da Dio e dagli uomini il metodo di una vita giusta. Dunque di un santo non a metà, solo piegato sulle debolezze degli uomini, o solo rapito dall’attesa della gloria di Dio. Papa Giovanni ha fatto vedere la pienezza che assume anche la debolezza. Anche per questo, è un santo che piace: non nasconde a se stesso le contraddizioni e del suo temperamento e della chiesa, a cui resta sempre mitemente fedele.   Il constatare però la distanza fra il mio modo di vedere le situazioni sul posto, e certe forme di apprezzamento delle stesse cose a Roma, mi fa tanto male: è la mia sola vera croce. Voglio portarla con umiltà… Dirò sempre la verità, ma con mitezza, tacendo su quanto mi paresse torto o offesa ricevuta, pronto a sacrificare me stesso o ad essere sacrificato. Il Signore tutto vede e mi farà giustizia. Soprattutto voglio continuare a rispondere sempre bene per male, ed a sforzarmi di preferire, in tutto, il Vangelo agli artifici della politica umana (ibid., 1936). Nella stessa ricerca della calma e della pace, che ritenevo più conforme allo spirito del Signore, non era sottaciuta una tal quale indisposizione all’impiego della spada, e una preferenza a ciò che anche personalmente è più comodo e più facile, anche se di fatto la dolcezza è definita la plenitudine della forza? O Gesù mio, tu scruti i cuori; e il punto giustoin cui la ricerca stessa della virtù può trascinare a difetto o a eccesso, a te solo è noto (ibid., 1950). Dal Giornale dell’anima traspare una originalità cristiana che è tutta da scoprire. Come il Precursore da cui ha preso il nome, fu antico nei costumi della fede e nuovo nell’indicare. Non ebbe paure, papa Giovanni: e questo è davvero il segno di un credente. Per questo la morte di quell’uomo fu santa: santa era stata la sua vita d’uomo.