Per parlar male del latino, occorre rifarsi al latino. Che poi non è un parlar male del latino in sé, ma di quello liturgico: di quello che viene invocato come la panacea dei mali della Chiesa. Quello che, escluso dal Vaticano (la rozzezza del linguaggio è tutta loro, non nostra) ha lasciato il posto al diavolo tra le mura leonine; tutto è conseguenza di quella stoltezza. Forse la maggior parte dei lettori non ha l’età per ricordare certi fogli che in nome della fedeltà alla Tradizione attaccavano a man bassa Paolo VI, il papa a cui è stato incollata la maschera d’Amleto:

chiamando angoscia la prudenza di fronte a un vento che stava cambiando le prospettive. Altro che la denunciata malizia laicista dei nostri giorni! Quelli si dicevano cattolici e apostolici e romani; ma un’analisi del sangue avrebbe sicuramente messo in evidenza i virus che avrebbero perentoriamente escluso la buona fede. Ecco. Il problema della buona fede in chi si dice ligio alle tradizioni (già il plurale è rivelatore) è il problema: e chi può dovrebbe tenerne conto. Ma: quante volte potete voi ripetere che la Tradizione della Chiesa non ha una data oltre la quale ci si stabilisce in uno stare, in un dire, e in un fare, ma che anche l’oggi è Tradizione; o se gli richiamate che una cosa è la Tradizione, altra cosa sono le tradizioni – un plurale che appunto dice il cambiamento – vi scontrate con una sordità che difficilmente potete scusare con la buona fede.

Supponendo che i fautori delle tradizioni si rimettano ai loro capi; e supponendo che i loro capi abbiano tutta l’infarinatura giusta per discernere – qui aiuta il latino, quello da sintassi. In latino tradizione e tradimento derivano entrambi da trad?re: manifestare, consegnare, tramandare; e mostrare, palesare, rivelare. Con accentuazione buona e maligna, lo stesso verbo rappresenta dunque due azioni distinte e diverse. Giuda consegna Gesù alle guardie, e lo tradisce. Paolo consegna il memoriale dell’Eucarestia ai Corinti, e tramanda. Non consegna Paolo l’“hic est enim” in latino: ma manifesta il mistero perché sia compreso nella lingua di quella città. E quando è a Roma, e rivela ciò che lui stesso ha ricevuto, consegna ai Romani in latino: la lingua per rivelare, non per non comprendere.

Dunque, saltando alcuni passaggi che potrebbero annoiare, se ad esempio si tornasse oggi al latino nel memoriale eucaristico – ma se, tanto per stare sul sicuro, si ripetesse in qualunque altro campo – si tradirebbe ciò che deve essere consegnato. È stato ridetto, dai cristiani di Corinto fino a noi: “Vi ho trasmesso dunque, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto: che cioè Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture”; e: “Io, infatti, ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me”. Sono passi che comprendono sia il kerigma sia un gesto rituale. Quello che è tramandato e non può subire tradimento è l’annuncio di quella morte salvifica; lo spezzare del pane, il gesto rituale, non sarà ripetuto allo stesso modo nei secoli – e nessuno può scandalizzarsi: è la risposta singolare dell’umanità di un certo tempo allo svolgersi della vita, e allo svelamento del disegno del Signore che percorre i passi dei secoli. La Tradizione è consegna viva fatta da persone vive, che dunque portano in sé una storia e una creatività.
La Tradizione implica naturalmente fedeltà alle fonti: è un deposito che chiede una interpretazione; le cose vecchie e nuove di evangelica nota, appunto. Vuole fantasia. Non ha a che fare con il passato ma con il cuore della fede: o alla consegna segue la redditio, la restituzione personale di chi vive la Chiesa in un dato momento della sua vita, oppure si tradisce la Tradizione. Molti decenni prima del Concilio, il delegato apostolico Roncalli, che portava nella sua formazione tridentina buoni germi, non si rassegnò ai mugugni per l’innovazione del “Dio sia benedetto”, e, ben più, delle letture bibliche nella lingua del posto: ancora-ancora accettare il francese, lingua dei diplomatici e del bon ton, ma il turco per i turchi?! Il card. Garrone, che visse da vicino la stagione di papa Giovanni, scrisse: “Nessuno oserà dire che una così straordinaria audacia, felicemente ricompensata, debba spiegarsi malgrado questa sorprendente continuità interiore con la tradizione sacerdotale… Non dunque malgrado la sua fedeltà profonda, ma proprio a motivo di essa egli ha rotto nella Chiesa molte dighe”.

Qualcuno ha osato dire, e osa ancora, purtroppo.