Benvenuti …
… nel sito dell’antico Priorato cluniacense di s. Egidio in Fontanella, ora Cappella vescovile. La comunità cattolica che vive nella terra bergamasca, insieme al suo Vescovo Francesco, vi saluta con semplicità e cordialità. Sono passati più di novecento anni da quando Alberto da Prezzate fondò la chiesa di S. Egidio e il monastero benedettino adiacente. Le generazioni si sono susseguite nello scorrere dei secoli, come le stagioni, come gli eventi della piccola e grande storia degli uomini. Eppure mai han cessato di risuonare nella quiete del chiostro e all’ombra delle possenti mura di questa chiesa i passi dei viandanti. Qui sono passati uomini, con il loro carico di gioie e dolori, per rivolgere una preghiera, chiedere un aiuto, ascoltare la Parola, respirare la presenza dell’Assoluto. Nel cuore della collina, tra pietre sacre e preziosi silenzi cari al santo papa Giovanni e al poeta padre Davide Turoldo, qui sarete i benvenuti, qui dove tutto parla del Dio Trinitario Padre, Figlio e Spirito Santo, e del Crocifisso Risorto, che accoglie i passi di tutti e ciascuno. Qui, ci si fa tua compagnia, fraternamente, in questo angolo di storia che percorriamo insieme. Questa è la casa del Signore, questa è casa tua: grazie per essere qui tra noi e buon viaggio!
il Priore, rettore dell’Abbazia
l'Angolo
Viatico
O ferito laggiù nel valloncello
Tanto invocasti
Se tre compagni interi
Cadder per te che quasi più non eri,
Tra melma e sangue
Tronco senza gambe
E il tuo lamento ancora,
Pietà di noi rimasti
A rantolarci e non ha fine l’ora,
Affretta l’agonia,
Tu puoi finire,
E conforto ti sia
Nella demenza che non sa impazzire,
Mentre sosta il momento,
Il sonno sul cervello,
Lasciaci in silenzio –
Grazie, fratello.
***
Viene un vento di bufera
Velocissimo, e scoppia
In un fragore di grandine.
Anche tu, immortal natura,
Perdesti oggi l’ineffabile
Saggezza: lode a satana!
Ma dopo? Uguale a te,
Non a me, tornerà il tempo.
***
[…]
Mentre il borgo è qui vivo
E fruga di lavori il suo declivo,
Pulsa lontan la vaporiera, all’erta
Zòccola un mulo, grave
Al lago veleggia una barca;
Meta è ovunque, ovunque corso:
A me il terror della vita e il rimorso.
E forse a te, ciel che t’infoschi
In un vorace stormo di nubi;
Ma come t’aggrovigli
Nel tuo gioco stai:
Io sbatto qui, e nel guardarti invano
Cade l’ora perduta;
E sotto il greto invano
Ho un fluir di corrente.
[…]
C.Rebora

ad minimum fabulis
Quando Einstein insegnava all’università di Princeton, circolava questa storiella sul suo conto. Un giorno gli fu fatto notare che non udiva più né quello che gli chiedevano gli studenti, né quello che gli dicevano in famiglia. Si recò allora da un amico medico e gli confidò che temeva di essere diventato sordo. Il dottore lo fece sedere, estrasse l’orologio dal taschino e lo avvicinò all’orecchio di Einstein. -Riesci a sentire qualcosa? Gli chiese. –Sento un ticchettio, rispose Einstein. -Allora, caro mio, non è che non senti niente, è che non stai a sentire.
Albert Einstein, (1879-1955) fisico tedesco
Diario
1 e 2 novembre
giornate di tutti i Santi e dei Defunti
celebrazioni eucaristiche ore 10,30

Novembre: mese dei «cari estinti»?
Nulla di più quotidiano e di constatabile della morte. Nulla di più «ingombrante» e censurato. Nelle esequie si fa memoria del Signore Gesù. Si dà voce a chi non ha più bocca per implorarlo.
I bambini vedono ogni anno quindicimila morti violente in tv: eppure sono tenuti lontano dal nonno morto. I defunti sono commemorati con monumenti costosi dentro i cimiteri; ma fuori, la città non vuole essere disturbata dal loro ultimo passaggio. Pochi ormai accennano a un segno di croce, pochissimi fermano l’auto, alcuni sorpassano e s’incuneano come fosse una qualsiasi coda. Si accettano i rumori al di sopra di ogni sopportabilità igienica; ma si lasciano mute le campane che annunciano l’agonia di un fratello, il venire della morte nei quartieri. Ci riesce difficile pensare a una possibile elaborazione di quello strappo; e intanto si lascia che esigenze sindacali definiscano un «peso improprio» la salma dei nostri cari, depositandola così su un antiestetico carrello che la trascina lungo la navata della chiesa. Non si pensa più la cremazione come un’ostilità alle leggi della Chiesa: ma, sotto la motivazione ecologica che la vuole meglio del seppellimento (cosa per altro neppur vera), sta una inconfessata sottrazione agli oneri futuri di quella morte. A parole disposti a tutto, ma di fatto infastiditi da quell’evento: insomma, potevi evitarmi il fastidio della tua morte.
Negandone i corollari, si tende a negare la morte: senza riuscirci, ovviamente, dato che di nessun fatto vi è uguale e iscritta certezza in tutte le coscienze. Ma tentare di negarla è all’origine di come si vive la vita: non come un dono, ma come un possesso; non come una meraviglia, ma come una conquista. La morte è dunque la più grande insensatezza, da affrontare negandola. Si lamenta, è vero, da più parti la privatezza e l’anonimato dei luoghi nel morire, lontano dalla propria casa, in un letto forestiero, spesso senza la presenza di una mano familiare ad accompagnare nell’oltre; ma essi sono la ovvia conseguenza di una incomprensibilità che solo la fede può illuminare. Un film di qualche anno fa, stranamente sparito dalla circolazione, descriveva mordacemente il trattamento del caro estinto in America: un costoso processo di imbalsamazione, di trasfigurazione estetizzante del morto; una funzione religiosa precotta in canti e preghiere affrettatamente sbrigate; una strabiliante sparizione tipo assunzione al cielo. Un dolore inscatolato, negato: l’unica volta di un sentimento che esagera il pudore fino alla cancellazione dell’evento stesso. Di altra fattura, ma di uguale intendimento, gli ultimi film di origine next-age: si inventa una vita post-mortem, non nel profondo dei cieli, ma nella palpabilità dei terrestri giardini. Evidentemente, un modo di affermare ciò che non si riesce a intravedere nella sua pienezza. Ma con una povertà di senso che inevitabilmente rimette da capo.
Per noi credenti l’unico luogo dentro cui la morte può riprendere il suo dolce mistero è il funerale cristiano; l’unica occasione offerta per superare la finzione delle mille morti del sistema mediatico; l’unico momento pubblico che è rimasto, nella drastica espulsione della morte dalle coordinate del quotidiano. Se celebrato nei segni della Chiesa, rende visibile ai vivi – ai fedeli e ai molti che attraversano la soglia altrimenti ignorata – lo smarrimento dell’uomo, e la presenza di una speranza. Per questo, occorre piegare anche il linguaggio alla realtà. Non esiste un funerale bello; ma può dirsi di un funerale che è solenne: e non per la presenza bardata delle istituzioni, ma per la sobrietà con cui si svolge, per la pacatezza che diffonde, per l’assenza di ogni fretta. E lo si può chiamare cristiano se lì la memoria più importante è quella del Signore Gesù, l’uomo morto e risorto, senza tutto aggrovigliare attorno al ricordo del defunto, delle sue virtù reali o presunte. Non è l’etimo suffragare che contiene soccorrere, raccomandare, approvare? Le azioni, in altre parole, di una Chiesa radunata che nell’Eucarestia dà aiuto a chi non ha più bocca per implorare, e confida nella remissione dei peccati del proprio fratello, prendendo testimonianza dal bene che per grazia ha attraversato quella vita?
Si tratta dunque di non nascondere la morte nelle nostre città, per non nascondersi alla morte quando tocca più da vicino. Di imparare a consegnarsi al grande mistero a cui essa apre. I catechisti, dei piccoli e degli adulti, possono trovare la novità del loro compito in questa sfida: la fede nel Risorto, che cambia lo sguardo sui giorni e le loro opere, è mostrare la morte senza impaurite censure e senza vuote esibizioni. (a.bi. da Evangelizzare)
Segnalazioni/Corrispondenze
“La guerra è finita”, dicono. Ma perché non riusciamo a sentirlo o almeno a crederci un po’? Ogni volta che qualcuno ci chiede cosa ne pensiamo, la risposta è quasi sempre la stessa: «Non proviamo nulla». Non sappiamo cosa pensare. Non ci fidiamo ancora del tutto. A un certo punto ci è sembrato pure surreale. È successo all’improvviso e qualcosa non ci torna. Il fatto che la guerra stia finendo per la seconda volta quest’anno ci rende difficile fidarci di questa fragile illusione di sicurezza. Ora sappiamo che un cessate il fuoco può crollare in qualsiasi momento e che il genocidio può sempre ripresentarsi in forme più brutali. Rimaniamo cauti e scettici. L’unica cosa da apprezzare è che si ferma il flusso di morte. Ma sentiamo che questo cessate il fuoco è solo una pausa per il genocidio e che la sofferenza rimarrà. Poter tornare a Gaza City può sembrare una vittoria, ma è stata una delle esperienze più tristi che la nostra gente abbia mai vissuto. Interi quartieri erano stati completamente demoliti e ridotti in macerie. Avendo già perso la mia casa più di due anni fa non avevo più nulla a cui tornare. Non ha più senso fare avanti e indietro, Gaza City è irriconoscibile e non sarà mai più la stessa. Quando ai miei amici è stato finalmente concesso di tornare, hanno dovuto anche affrontare l’orrore di trovare centinaia di cadaveri per le strade: persone uccise e lasciate senza soccorso né sepoltura. Di fronte a tanta perdita e distruzione e all’assenza di un riparo, molte persone hanno preferito fare ritorno alle tende nel sud. Un cessate il fuoco non riporterà indietro i 67.686 morti e le migliaia di dispersi. Non riporterà i bambini alle loro madri, né i genitori di migliaia di orfani. Non riporterà indietro i nostri amici, i nostri colleghi e i nostri cari. Non farà ricrescere gli arti di centinaia di migliaia di amputati. Non riporterà indietro le nostre case. E non guarirà mai i nostri traumi. Non è qualcosa da cui ci si può riprendere. Non può essere dimenticato o perdonato. La sofferenza durerà per sempre. Le persone continueranno a morire per le complicazioni delle loro ferite e malattie. Il trauma non elaborato immagazzinato nei nostri corpi si manifesterà in seguito in forme fisiche e psicologiche, rendendoci ancora più difficile vivere una vita normale. Ci vorranno decenni e sforzi immensi per rimuovere le macerie delle nostre abitazioni, e ancora di più per ricostruirle. Certo, spero che la mia gente possa ora respirare un po’. Ma porterò sempre nel profondo del mio cuore le cicatrici invisibili della nostra esistenza. La mia anima soffrirà sempre per tutta la crudeltà a cui ha assistito. (una palestinese su Repubblica del 13 ottobre)
daQui
per il due di novembre, tanto tempo fa ho scritto così _
Sono stato chierichetto. Naturalmente, direi. E in un mondo religioso quasi completamente scomparso. E tuttavia il mio presente di prete nasce da lì. Chierichetti: sono curiosi, gironzolano, toccano, rompono ma anche imparano. I più vivaci diventano preti. E se lo diventano quelli un po’ troppo queti, che non si ribellano e non danno fastidio, allarme sulla Chiesa!, ché si ritroverà chierichetti non cresciuti a gironzolare per tutta la vita in sacrestia. Portare il viatico – l’ombrellino sulla testa del prete, solo perché inusuale, era il motivo di feroci battaglie –: e mi ricordo solo intirizzito in quei viaggi verso case povere, le scale rivestite di lenzuola rifatte dal sole di luglio dopo un bagno nella cenere.
Catafalco enorme ricoperto da un panno pesante, nero, con robusti ricami in oro a racchiudere medaglioni dipinti che raccontavano le morti bibliche (ma ho presente solo nitidamente quella di san Giuseppe, abbandonato nelle braccia di Maria). Si apriva uno sportello, e ci si infilava la cassa del morto. Un pomeriggio, nessuno in chiesa, mi ci sono ficcato: un bambino alla scoperta della morte, rileggo oggi. Ma una morte che non ho trovato, e neppure la paura. Forse, anche per questo, ho sempre avuto con quell’estremità della vita un rapporto distaccato.
Quel rialzo funebre era piantato in mezzo alla chiesa per tutto l’anno – giusto a Natale e Pasqua si toglieva: uno pseudo-sepolcro attorno al quale il prete dopo la messa passava con acqua ed incenso a cospargere cose – legno e panni. Era la liturgia di quelli che ora la rivogliono: una religione che si estenuava nel culto dei morti; e che, appunto, non aveva il suo apice partecipato nella resurrezione della Pasqua, ma si concludeva nella processione del Cristo morto il venerdì santo.
Allora nella chiesa si vedevano bene i ricchi e i poveri, soprattutto nei funerali, e negli uffici funebri che allora imperversavano dal lunedì al sabato (ma la domenica non si interrompeva l’intenzione di messe per defunti…). Le tabelle appese in sacrestia scalavano ben quattro classi di censo: dalla ricchezza, a cui si chiedeva di pagare molto, fino ai poveri cui si faceva un “trasporto” gratis: ma un solo prete contro i dieci o più della prima classe.
Se potessi scegliere (ma ci pensano quasi sempre gli altri, ed è abbastanza ovvio…) sceglierei per il mio riposo in attesa di resurrezione tra due cimiteri: sull’Adda o sulla ferrovia. Questo della Città no: si va diritti verso un familiare, non si è attratti a trattenersi sulle facce di chi si è conosciuto, in una successione che misura il tuo tempo, e fa risalire la tua storia nelle mille (ormai mille!) storie condivise. Anche la morte esige di sfuggire l’anonimato. E poi, l’uno e l’altro di quei camposanti stanno lì, chiamati – dallo sciabordio del fiume o dal fischio del treno – all’andare: verso il luogo altro che la fede ha promesso, e la speranza ha nutrito. Uno stacco per involarsi verso cieli nuovi e terre nuove. È come delle foglie che finalmente ingiallite si coricano in attesa di essere raccolte e trasformate: foglie che tuttavia si ricordano e nella lucentezza del loro verde, e nello splendore del loro rosseggiare prima di staccarsi.
Non trovo un’unica morale di questi appunti. Se voi ne trovate una, passatevela. (riproposto il 28 ottobre 2025)
Informazioni

La chiesa abbaziale
è aperta dalle 8 del mattino fino al calar del sole.
La Domenica, e nelle feste del Signore e dei Santi, l’Eucarestia si celebra in Abbazia alle ore 10,30.
Per richieste personali al Rettore:
e-mail:
attobianchi@gmail.com
telefono: 035.4362202 (preferibilmente il mattino dalle 7,30 alle 8,30).
Per uso degli spazi della Rettoria:
telefonare o mandare sms al 339.3765458 o inviare mail:
giudittaperico@gmail.com

Apertura: tutto l’anno.
Attività: Esercizi Spirituali, Ritiri, Giornate di Spiritualità, Convegni. Ci si può far guidare o da propri referenti o dal rettore dell’Abbazia.Tipologia ospiti: sacerdoti, diaconi, religiose/i, giovani e adulti laici.
Ricettività: 20 posti letto disposti in: 1 camera singola, 1 camera a 5 posti letto singoli, 1 camera a 7 posti letto a castello. Una camera è dotata di servizio privato, le restanti camere sono dotate di servizi in comune.
Servizi: ogni giorno, possibilità di celebrazioni per gruppi.
Casa non attrezzata per accoglienza disabili.

Per disposizione vescovile in questa chiesa ordinariamente non si celebrano sacramenti di battesimo e matrimonio, se non per le persone residenti nella parrocchia_
COME RAGGIUNGERCI:
• auto e bus privati trovano parcheggi su via Fontanella alta e/o via Reg. Teoperga
• treno (la stazione più vicina, Terno, dista 4 Km)
• bus pubblici (la fermata si trova a 2 km)
PER DONAZIONI:
Cc bancario: Bianchi Attilio – Rettoria s. Egidio
Cassa rurale BCC di Treviglio s.c. – IT 73F0889952780000000370654
di Leone papa

Ora tocca a noi metterci all’opera affinché la Chiesa che vive a Roma diventi laboratorio di sinodalità, capace – con la grazia di Dio – di realizzare “fatti di Vangelo”, in un contesto ecclesiale dove non mancano le fatiche, specialmente in ordine alla trasmissione della fede, e in una città che ha bisogno di profezia, segnata com’è da numerose e crescenti povertà economiche ed esistenziali, con i giovani spesso disorientati e le famiglie spesso appesantite.
contrAppunti
per gioire senza illudersi – La totale naturalezza con la quale questo signore si proclama meritevole, ammirevole, bravissimo,
formidabile, incoronabile. Trump si piace come forse nemmeno Berlusconi (pioniere mondiale dell’autocelebrazione) si piacque. Parla di se stesso con una venerazione totalmente immune da quel tanto di esitazione, e di pudore, che in genere contraddistingue la persona intelligente e soprattutto la persona equilibrata. Bastano un briciolo di introspezione, un pizzico di saggezza, per dubitare di se stessi. (M. Serra)
E infatti … – Adar, la madre israeliana che aspetta la restituzione del cadavere del figlio, spera che si trovi un equilibrio tra l’eccitazione per gli ostaggi che stanno tornando a casa «e coloro che hanno pagato con la vita. C’è molta morte nell’aria — i soldati, le vittime del 7 ottobre, gli ostaggi assassinati in cattività. C’è molta morte, e dobbiamo ricordarlo in questi momenti di felicità. Abbiamo ancora molta tristezza intorno a noi. È il momento di iniziare a trovare un equilibrio tra la nostra tristezza e la nostra gioia: è il nostro dovere».















