Restauri architettonici

L’intervento di gran lunga più massiccio, si ebbe tre secoli dopo, nel 1910-11, a cura dell’ing. Carlo Bianchi di Torino che portò Arthur Kingsley Porter, studioso di architettura romanica, a scrivere:
Di tutti i disgraziati restauri compiuti negli ultimi anni nell’Italia settentriona­le, non ne conosco alcuno così sconsigliato, così distruttivo, così barbaro come quello della chiesa di Fontanella
Secondo il Kingsley, dopo i disgraziati restauri la chiesa avrebbe perduto sia il suo incanto sia il suo intertesse archeologico.
La prima preoccupazione dell’ing. Bianchi fu quella del restauro statico del campanile: il cedimento del pilastro quadrilobato nell’angolo Sud-Ovest, a causa anche dei fulmini che vi cad­dero per due volte a distanza di quasi un anno, e cioè il 14 luglio 1873 ed il 29 luglio 1874, aveva portato allo spiombo, con inclinazione verso la facciata, di tutte le colonne della navata destra, oltre che al cedimento della muratura superiore della torre. Furono così sostituiti uno ad uno tutti i conci avariati del pilastro bloccando i pezzi di pietra con una colata di cemento che permise di ottenere un blocco centrale di tipo monolitico. Successivamente vennero applicate le armature di sostegno all’arcone centrale, ai due piccoli sotto il lato sud del campanile, all’arco minore a sinistra ed alle tre campate d’archi fra la navata centrale e le due laterali. L’ingegnere constatò poi che il terrazzo superiore del campanile, sostenuto da un volto in cotto che misurava un metro di spessore tra struttura e riempimento, veniva a gravare di un peso inutile la torre, inoltre
non rappresentava una costruzione dell’epoca del monumento. Ne ordinai la demolizione che mi rappresentava un peso di almeno 500 quintali, e vi sostituii un’ impalcatura di voltine tra poutrelles eliminante le spinte agli angoli del cam­panile e collegante tutta la gobbio superiore colle teste delle poutrelles
L’operazione successiva, giustificata dalla certezza che la torre doveva avere la terminazio­ne caratteristica lombarda, fu la demolizione del tetto a quattro spioventi e la costruzione del cono di copertura in cotto, la cui inclinazione fu dedotta dall’angolo di smusso di alcuni mattoni della copertura originaria (presumibilmente), trovati nel sottotetto. Furono ricostruite poi le quattro trifore deducendole dalle tracce presenti ancora nella muratura e da alcuni pezzi originari (due capitelli delle colonnette mediane e quasi tutti i pezzi degli archivolti, tra cui quello con il giglio di Francia della trifora ad ovest recuperato demolendo in parte un colossale torchio da vino) ritrovati sul posto, inglobati in murature di contenimento del terreno. Altra opera fu la piombatura delle quattro colonne più pendenti ed il rinforzo dell’arco di rinfianco, impostato su una semicolonna addossata alla parete, tramite la costruzione di un barbacane esterno, in corrispondenza di detta colonna.
Per quanto riguarda la facciata, venne demolito il sopralzo delle navate laterali, venne ricostruita la copertura a salienti e venne rifatta la parte superiore centrale, compresa l’archeggiatura, la chiusura delle finestre rettangolari (aperte all’inizio del XVII secolo), la ricostruzione della fine­stra circolare mediante l’utilizzo dei pezzi originari rinvenuti nella muratura della facciata medesima e l’apertura dell’ingresso laterale tamponato.
Per le navate laterali troppo evidente era il sopralzo del secolo XVII e quindi sollecita la demolizione della parte aggiunta; nel corpo centrale i pezzi della finestra ad occhio trovati nel muro stesso, me ne stabilirono la dimensione. Sem­plice fu trovarne la posizione dopo chiuse le due orride aperture centrali
Dalla parte del nucleo absidale gli interventi furono limitati all’apertura delle monofore murate.
Nell’interno della chiesa si provvide al.ripristino delle capriate lignee di sostegno del tetto, alla demolizione di un altare barocco, contro la parete della navata destra, alla sistemazione del pavimento (fatto levare per verificare la struttura sotterranea alla ricerca di una cripta) e alla pulitu­ra, non sempre felice, di alcuni affreschi.