calamitati dalla generosità di un Dio che si dà

Le grandi pareti dei giudizi universali contengono tanto, perché vogliono esprimere il tutto.

Attorno al Cristo, che è perno del movimento, si dipingono cherubini e serafini che siedono in trono, angeli e arcangeli che custodiscono o indicano o reggono.

Ci stanno Maria la Madre, e gli apostoli, dodici come le tribù d’Israele.
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quegli applausi così fuori luogo

Quel Papa nella camera dei Deputati della Repubblica Italiana era proprio fuori posto: quelli che gli stavano davanti non erano alla sua altezza, all’altezza delle parole che stava dicendo, così dissimili dalle loro, così lontane dalla immediata attesa di personaggi incapaci di assumere la posizione dell’altro, se non per rilevarne l’inimicizia. Quando il giudizio soccombe al pregiudizio, diventa ben difficile curare il bene comune: questo ci sta mostrando l’attuale legislatura.
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quando ci si chiama fuori da ciò che disturba

Dopo il peccato della mela, “ecco arrivò il Signore e disse: — Vi caccio, quanto è vero Dio —. Ed Eva suggerì piano ad Adamo: — Diciamogli che siamo atei! —. Ma Adamo scosse la testa: — Non posso; lo conosco personalmente —“.

Così racconta la barzelletta di un comico che, con rifacimenti dissacranti, punzecchia molto là dove fa male: ai cristiani che hanno la Bibbia, ma non hanno la Parola; e a quegli adulti battezzati che si ritrovano un’anima da struzzo: testa sotto la sabbia quando imperversa il difficile senso della vita. Ci si sottrae, si dichiara che si era da
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l’estate che si prolunga in una stagione altra

È stata la qualità di questa estate che ha fatto chiedere ad alcuni della Comunità di raccontarla. Proprio questa estate, che non è stata la stagione che ci si aspettava, sole, bagni e tanto caldo? Proprio questa. Perché la si definisse oltre i cliché con i quali solitamente l’avviciniamo. Perché la si potesse descrivere per quella pienezza che non è fatta dalle attese ma dal vissuto che di fatto compone la vita.

Il colore pennellato su Città alta
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quando i numeri raccontano la storia

La sofferenza dei sani, in questo giugno così afoso, può ben raccontare la fatica dei malati. Forse non è una stagione del tutto sconosciuta: nel passato chi sa quanto caldo è planato sulle strade, e si è intrufolato nelle stanze più riparate, a depositare la sua corteccia umida sui corpi. E certamente trovate chi vi snocciola estati ancor più calde: non lo fanno per consolarvi, ma per avere qualcosa da dire comunque. Sono quelli a cui interessi solo per l’ascolto che gli presti, e non tanto
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gagliardo è il vento di Pentecoste

Brioso, giovane, forte è il vento di Pentecoste. Gagliardamente ha fatto esplodere le paure, e ha rinnovato la faccia della terra, rinnovando il cuore degli Undici.

Undici come i figli di Giacobbe, le stelle che nel sogno si prostrano a Giuseppe; undici come i teli per coprire la Dimora dell’Altissimo; undici come i giovenchi per la festa delle Capanne, come le giornate che separano dall’Oreb,
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per il Quartiere e per la Città questo Tempio della pace

Alto sulla strada, senza coinvolgimento in un cuore pedonale, senza i riflessi colorati della vita che si svolge nel quotidiano – un caffé, la panetteria, le stanzialità di pensionati in cerca di senso (i bambini no, non ci sono più su nessun sagrato, non passano soli su nessuna strada più, ancora li puoi vedere relegati in quei miniparchi recintati che son finzioni e non spazi) – così discosto da non richiamare, così rinchiuso da allontanare: così mi è apparso
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nella riconoscente passione di chi non dimentica il dono

Se quell’olivo che nasceva dal tronco delle pareti si fosse diffuso nel cuore della sua gente come riempiva, lieve e fresco, tutta la cupola! E se fosse rimasto lì, nei secoli, a ricordare ad ogni uomo delle successive generazioni, che cosa si perde con la guerra! Nella vigilia della consacrazione del Tempio, don Vittorio Aquilina ha visto la stessa volta brillante, in giornate di nitido sole d’aprile come queste: abbassati i ponteggi, si contempla finalmente e l’idea e la realizzazione.
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i dieci anni di episcopato del vescovo Roberto

Ero nello studio del vescovo Giulio, quando è arrivata da Roma la telefonata della tua nomina alla sede di Bergamo. Ricordo la sorpresa del tuo predecessore che, in massima riservatezza, mi partecipava la notizia che ufficialmente sarebbe stata data nei giorni successivi. Una sorpresa per le incognite di un ministero affidato a uno di noi: pur nella stima che aveva per Te, avrebbe desiderato, per l’affetto che ti portava, che non ti fosse dato il peso dei profeti di casa.

Mi sono ritrovato sull’onda di quella conversazione che si era prolungata
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agli amici del Tempio Votivo della Pace

Celebrare i cinquant'anni del nostro Tempio è fare memoria di ciò che lo ha preceduto, oltre che di tutto quello che si è costruito attorno. Gente che qui è nata, e qui vive; gente che di qui è passata per un servizio; gente che qui ha abitato per un tempo significativo, e poi è traslocata altrove. Appunto, un intreccio di vite che si sono incontrate e si sono lasciate, talvolta per la soglia inesorabile della morte. Il Tempio, dunque, come un pretesto. Pretesto per modo di dire:
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