È una mattina dall’aurora molto lunga, questa. La luce stenta a sorpassare il confine che la tiene altrove. Sembra faccia fatica a svolgersi nel nuovo giorno: come chi si interroga, nel dormiveglia mattutino, se la giornata che ha davanti meriti che ci si alzi prontamente. È inevitabile che ogni cosa sia preceduta da un giudizio: direi che è il giudizio che fa nascere ogni cosa, ed è il giudizio che la tiene in vita, o la abbandona. Giudizio di bene o di tornaconto

che sia, l’uomo è lì: con la fatica di decidere che il mondo sia. Il suo mondo, e quello degli altri.

Si ricomincia spesso. Si ricomincia tutti. Si ricomincia nelle cose consuete e si ricomincia a partire da un lutto. Poiché il giudizio ha bisogno di una motivazione, non sempre il ricominciamento quotidiano, nella sua ordinarietà, è facile: alla depressione si arriva per l’insoddisfazione nelle piccole cose più che per l’infelicità di una tragedia. Semmai questa suscita una rabbia: adrenalina che scorre, e che scova nuovi motivi per imbastire una vita.

Davanti al mistero del male, la tentazione di cercare sempre fuori di noi il colpevole ci priva della responsabilità, e dunque dell’assunzione del giudizio per la vita. Perché queste guerre, questi genocidi che continuano, queste istituzioni di mondialità economica che soffocano i più poveri della terra? Perché questa voglia di Chiesa trionfante? Perché questo rinchiudere in un mausoleo la novità dello Spirito? Perché la meschinità di chi distrugge tutto ciò che non viene da sé? Perché la presunzione, le menzogne, le viltà, le durezze, le omissioni, le indifferenze, le cattiverie di rimando? Sempre gli altri?

Ci si impedisce di ricominciare, quando ci si impedisce di riconoscersi per quello che si è: responsabili. Del proprio e dell’altrui bene. Della gioia altrui e della propria. Nicodemo, quello che si incontra di notte con Gesù, non è distante dalla verità, che permette la vita. È lì, e se allunga una mano la prende, se fa un solo passo vi entra. Ha già percorso tutte le autostrade della mente. Per la sua decisione deve solo prendere l’ultimo giudizio, quello importante: perché separa. Non lo fa. Non si determina. Ha un passato, ha una cultura, è vecchio: riconoscere il nuovo non viene facile, può essere la negazione di tanta parte di te. Ha tanti buoni sentimenti, ma non si fida. E tuttavia, dopo la morte del Signore ricompare, e si dà da fare. Ma dopo. Prima, si è privato di una intimità, non decidendosi per Gesù ancora vivo.

È certo che i motivi per un giudizio non li troviamo fatti in noi: si devono cercare, e a volte hanno l’apparenza dei rami secchi caduti dagli alberi per la violenza della tempesta. Disprezzarli, non fa fuoco. Per ricominciare, serve ogni cosa che gli occhi puri riconoscano come un dono: al di là delle apparenze povere, se non addirittura misere. Forse per questo ci è stato detto che il Regno dei cieli è dei poveri: di chi giudica un giorno dal suo desiderio di riempirlo.