il vangelo è fragranza, o non è

73. Il cristiano deve imparare la saggezza delle carezze di Dio: avere l’umiltà di aprire il cuore per essere guarito dal Signore e altrettanta umiltà e delicatezza per guarire il fratello che gli sta accanto, che ha bisogno del suo aiuto, di un consiglio, di una buona parola. Ed è proprio così che si costruisce una comunità cristiana. Tutti noi abbiamo bisogno di essere guariti, tutti; perché tutti abbiamo malattie spirituali, tutti; ma, allo stesso tempo, abbiamo la possibilità di guarire gli altri.

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il mutismo cristiano, e la missione

Quanto sta avvenendo in Italia, a livello istituzionale e a livello personale, non può lasciare indifferenti i cristiani. La loro coscienza, che si è formata nelle pagine del Vangelo, non può restare muta. Come si costruisce oggi una città? Chi è ammesso ad abitare quella città? Quali relazioni si stabiliscono con il mondo esterno? Una città cintata con i ponti levatoi alzati, o con le porte aperte pur dentro un cerchio di mura? Una città che sappia respingere i cattivi mentre

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viaggiare per accorgersi, per capire

Per una puntata di lavoro a Perugia, sono ritornato ad Assisi dopo molto tempo. Avevo letto dei danni del terremoto nella basilica francescana, ma non avevo capito: la sfogliazione delle superfici giottesche è più ampia di qualsiasi sgomento; e il risanamento non solo non alleggerisce il disastro, ma, a mio parere, lo sottolinea in maniera ingombrante. Una desolazione, se si ripensa a Francesco chiamato a ricostruire, nella chiesetta del piano, la Chiesa

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quando i numeri, parlando, chiedono l’indignazione

Sfuggono, a volte, macroscopiche ingiustizie o sonori avvertimenti, solo perché le articolazioni del pensiero sono racchiuse in numeri che pure son lì a dire, in una stringata concretezza, tutto quello che si potrebbe leggere in lunghi e ponderosi editoriali. Se abbiamo ancora qualche dubbio, facciamo sosta su alcuni titoli che appaiono all’interno delle nostre letture quotidiane: l’estate è un’ottima stagione per fare esercitazioni di buona intelligenza

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vivere il Tempio oltre il momento di grazia

Abbiamo scavalcato di due anni il cinquantesimo giubileo della consacrazione del nostro Tempio. Non abbiamo ancora finito il completamento che ci eravamo prefissi per quella ricorrenza: mancano i portali, soprattutto, e le vetrate sul presbiterio, e alcuni arredi artistici, oltre a varie rifiniture che, prima di essere definite, hanno bisogno di essere collaudate dall’uso. Poiché è un po’ di anni che si sa del nostro impegno, da parte di qualcuno giunge il

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abbracciati alla Croce, la maggior epifania

Chissà se questa pioggia di marzo avvolgerà anche i prossimi giorni della Pasqua: gocciole che faticano a posarsi sui tetti e sulle strade, e sul primo fogliame che pure aspetta di essere mondato dalle ceneri dell’inquinamento. È stagione che mi ricorda certi tardi pomeriggi della settimana santa: quando, in una cattedrale deserta e fredda e buia – solo qualche suora giù nei banchi – centinaia di giovani seminaristi, in coro con il Vescovo, officiavano l’ufficio delle tenebre

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se proprio ci tenete agli auguri sullo strappo dei giorni

Una delle tante espressioni affettuose che hanno accompagnato lo scavalco di questi giorni mi ammonisce così: come tutti quelli che hanno passato gli anta, preferiresti non contarli, ma i compleanni vanno sempre festeggiati; la vita è dura e poter dire di aver passato un altro anno, e nella compagnia di Dio, è una gran bella cosa; e poi, come recita un proverbio inglese, non contare le rughe ma i sorrisi, non contare gli anni ma gli amici. Un compleanno

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se l’ora si tinge di verde

Alle cinque della sera – quando in Spagna il torero scende nell’arena, e in Inghilterra ci si inoltra nei salotti per il rito del thè – i boulevards parigini si riempivano di avventori in cerca di un liquore aromatico al profumo di anice, ma che anice non era. Era assenzio, di cui gli artisti maledetti, tutti riassumibili nei più noti Rimbaud e Verlaine, si illuminavano la mente: così si dicevano l’un l’altro. E così, tra le cinque e le sette della sera, a Parigi si consumava

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dallo stupore la gratitudine

Il föhn che precipita vivace dalle Alpi scalda ancor più questo dicembre strano, e mette sulle teste questo cielo spazzato di marzo pazzerello: come era scritto nei sillabari della mia infanzia. Appunto quel manzoniano cielo di Lombardia così bello quando è bello, perché è luce, ma non solo: è movimento e tepore, e torpore della mente e sospiro di cuore. Quel cielo di primavera, insomma, che non ha alcuna parentela con il natale che piace a me: svegliarsi

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nessuno è nemico, e neppure straniero

Un mese dei morti che allunga l’elenco, questo novembre. Nomi nuovi che finiranno su una stele, a ricordare l’eccidio di Nasiryia. Ma nomi tolti a labbra d’amore e di vita. Uomini che lavorano per la pacificazione, nel mentre si guadagnano da vivere. Chiamati a ricomporre i cocci di una stupidità che non ha la pazienza della tessitura, ma la virulenza del fuoco. Giorni che cambiano i vivi, questi? Forse. Forse per qualcuno. Ma per i tanti, facendosi scudo

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