Sparito. E poiché quando pubblico quello è, senza archivi ulteriori, mi sono trovato appunto tutto sparito. E irrecuperabile, secondo gli esperti. Di ogni cosa creata si diventa gelosi, che sia o no un figlio ben riuscito (ma le cronache di oggi dicono che un figlio è comunque ben riuscito – anche se occorre spostarsi in California, avere un conto che ti permetta centinaia di migliaia di dollari, trovare una donna che sia disposta a generare da non si sa bene quale seme per poi darlo a te un figlio che tanto desideri da passar sopra a idee di cui pure sei alfiere: il corpo della donna, l’uguaglianza economica, il dono dei figli che non è mai un diritto per una coppia, né etero né omo: alla faccia dei padri ispiratori del sole dell’avvenire). Ma torniamo a noi: anche se, per il raccontarci i sintomi delle malattie di cui soffriamo, quella parentesi ci sta bene. Dunque: si sa che quando un figlio è fatto, è fatta: i capelli rossi non glieli cambi più, e i denti alla castoro forse, ma molto forse, qualche odontoiatra di un po’ glieli stenderà. Ma, a differenza di un figlio, lo scritto che ti è uscito di botto, bello o imperfetto, generato dall’impellenza del momento che crea immagini, quello non lo puoi ridire più: irripetibile. Ti resta la sensazione che era giusto, per forma e per sostanza; te ne resta il sentore, ma, appunto, come effluvio che svanisce mentre lo vorresti afferrare. (Il mio professore di liceo, consegnandomi i temi, puntigliosamente mi dava in custodia ogni volta che non dovevo accontentarmi, perché il meglio è oltre sempre: buona massima che vi aiuta a prendere con un grano di ironia le righe precedenti – e anche quelle seguenti!?). Quindi, avevo scritto molte cose, e ne ricordo solo alcune che giravano attorno a questo filo: ci sono predicatori dell’apparenza, nella società civile e nella chiesa; e finché quei virus rimangono, la malattia non guarisce. Di una ovvietà lapalissiana. Eppure non è così ovvio per tutti: tanto da farmi sospettare che l’hacker distruttore avesse un mandante. Chi? Nella chiesa o altrove? Capisco che questa vi può risultare una presunzione senza merito. Ma poiché i rilievi del nostro sito dicono che abbiamo clientes che toccano Roma, e oltre, e sapendo che  a Roma ci sono i Palazzi… vanità delle vanità? Ma va’! occorre giocare un po’ quando si ha un ginocchio sbucciato: bambini restiamo sempre, tutti, e di più in certi momenti. Ma che cosa ci poteva essere di così eccitante? potrebbe chiedersi la vostra pur diffidente curiosità (diffidente se non state leggendo vedendoci quel po’ di autoironia del pezzo). Una cosa la ricordo: chiedevo che fosse riparato presto quello sbaglio di generosità di papa Giovanni, che ha statuito che fossero fatti vescovi impiegati, per quanto di rango, degli uffici vaticani; chiedevo che si ponesse fine allo scandalo di un episcopato inteso come decorazione, e non come consacrazione per una chiesa. Senza la quale non c’è neppure un vescovo. E, ad modum exempli, dicevo che non avvenisse più che i papi nominassero vescovi i loro segretari ancora in funzione di camerieri. Successori degli Apostoli, dice la dottrina. Non manichini per vestiti demodés, a colorare (di potere?) le celebrazioni papali. Anche in prospettiva ecumenica: la chiesa che si dà al mondo come una grande organizzazione, rovesciando la piramide fondata sul servizio di Pietro, non è una chiesa che può prepararsi all’unità. C’è un’immagine cattolica che non dà scandalo solo nelle perversioni pedofile di alcuni suoi membri: lo dà soprattutto e innanzitutto offuscando la sobrietà del Crocifisso, che si diede nudo alla salvezza di ogni uomo. Non è ovvio. Come non è ovvio, e qui ricordo più brevemente: che in politica stiano riciclandosi personaggi che dovrebbero accontentarsi  delle laute prebende con cui sono stati allontanati: o dal voto o dai tribunali; e sul dire di nani e ballerine che è il nostro cattolicesimo italiano, la nostra vicinanza al vaticano, a tenerci retrogradi rispetto ad altri paesi. Paesi considerati civili solo se propongono quanto piace a sé, e non in quello per cui ci condannerebbero nelle nostre pretese senza razionale fondamento. Le loro ipocrisie – e cito per tutti … anzi non cito per lasciare aperto a voi il  penoso gioco – e le loro incongruenze, di politici, di giornalisti e di preti che si piccano da assistenti mediatici, gridano vendetta all’intelligenza di Dio. Ma anche gridano a noi che non soccorriamo la loro ignoranza, accontentandoci di guardare e passar oltre. Non è più tempo di passar oltre: i muri, che tanti politici nostrani inneggiano, dicono non solo ignoranza ma la pervicacia del male assoluto: quello dell’io e loro. Quello di un populismo che scardina, e che si ripropone, seppur ipocritamente nascosto, come ritorno del razzismo. Potrebbe dunque esserci già la diagnosi: ignoranza del Cristo e dell’uomo.