Oggi 28 giugno, eucarestia domenicale qui a Fontanella, nel ricordo di quella prima concelebrata 46 anni fa con il vescovo Clemente Gaddi nella cattedrale di Bergamo. Riporto qui la paginetta di quel giovane prete che fui, apparsa sul periodico del Seminario nell’occasione dell’Ordinazione: per associare gli amici – per la distanza tra i propositi e il vissuto – alla richiesta della benevolenza del Signore – implorato perché non guardi ai peccati nei tanti giorni, ma alla fede della chiesa: dato anche il motto scelto sull’immagine dell’annuncio – PRETE PER ESSERE TRA GLI ALTRI, COME GLI ALTRI, ED ESSERE UN ALTRO – tra presunzione e pretesa giovanile che Dio avrà saputo leggere con il suo filo di humour.

L’umiltà e la forza del seme  –  Pure in quei rari momenti in cui la sintesi della propria vita si presenta da sola, non son riuscito mai ad individuare uomini, occasioni o situazioni particolari che servirono da spinta iniziale al mio essere prete. È, anche per me come di un uomo che semina la sua terra; dorme, e si alza la notte e il giorno, e intanto il seme s’apre, ma egli non sa in che modo (Mc. 4,46). O meglio, so che c’è uno Spirito che realizza condizioni uguali da situazioni diverse. E, in un ambito di fede, questo basta alla certezza della mia scelta. Che si è fatta a poco a poco, costruendosi su dati e su acquisizioni, su scontri e su incontri. E mi ritrovo così, a diventar prete con un bagaglio di convinzioni nate da esperienze di cose sofferte. Eccole. Credo, sostanzialmente, che il prete debba sentirsi frutto di una comunità, alla quale ritorna come seme di nuove comunità. Avrà naturalmente tutta l’umiltà del seme: perciò il suo ruolo sarà quello di una presenza al mondo, in uno spirito di servizio che lo assimila al Cristo, “il quale non venne per farsi servire, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti” (Mt. 20,28).­­­ —- Avrà l’umiltà, ma anche la forza del seme. Che si fa strada tra le zolle che l’hanno pur fatto marcire. Come Gesù, cioè, sarà “profeta potente in opere e in parole” (Lc. 24,20). In opere: prenderà sul serio la fame, la lebbra, le menomazioni degli uomini (Mt. 11,15), senza soccombere alla maledizione del desiderio d’efficienza. Ed evangelizzerà; non mantenendosi nella calma regione dei princìpi, ma calandosi negli argomenti del giorno: il sabato, il tributo a Cesare, i potenti del momento—scribi farisei e la volpe Erode. Ricordando tuttavia che “l’inviato da Dio pronuncia le parole di Dio” (Gv. 3,34). È in questo contesto di convinzioni che vorrei si svolgesse il mio Sacerdozio, ma perché riescano fatti di vita, chiedo a quelli che ho incontrato o incontrerò una continua invocazione al Padre. Poiché conosco i miei limiti. 1 giugno 1969, Attilio Bianchi.