Ho visto stamane due giovani di color ebano addetti alla raccolta della spazzatura: sacchi fatti volare sui camion. E, per l’ultimo tratto d’auto ad arrivare qui, mi si è  presentato il quadretto di quei due che, accompagnati dalla mamma, si fanno raccomandare per un posto, e dei consoci che bofonchiano perché si sentono derubati: non si capisce se per merito, loro, o per primogeniture di chiamata. E per un (in)felice accostamento, mi sono rintronate le orecchie degli slogan di gente alla Masaniello: ma senza metterci il petto, solo una felpa, gente da piazza televisiva ma senza progettualità (gente che si schiera con chiunque pur di non perdere il posto strapagato nel consiglio europeo dove non ci stanno mai; gente che dice agli altri di andare a lavorare, mentre il loro solo lavoro è quello di mangiar panini regionali mentre sparano cavoli che non servono alle merende dei più; gente che usa linguaggi da osteria, pur con tutte le eccezioni che ci possono stare nelle osterie tra una rissa verbale di tifoserie pallonare: ma senza arrivare a espressioni di nazista memoria come radere al suolo gli accampamenti degli zingari, per altro già precedute da imbottiti di birra con cori ai puzzolenti napoletani). Slogan appunto che declamano: vengono qui a portarci via il posto. Al che, qualunque intelligente persona, facendo due più due, arriccerebbe il naso: saremmo sommersi dalla spazzatura, saremmo con vecchi e ammalati abbandonati in casa e negli ospizi, saremmo con ditte impossibilitate ai trasporti, o imprese edili che dovrebbero chiudere, se non ci fossero questi uomini e queste donne dalla pelle che dal nero africo si stinge nel latteo nordico. Luogo comune di chi quei posti proprio non li vuole, né per sé né per i figli; ma gli serve per giustificare l’assegno dalla cassa integrazione, o per quel nuovo ordito del reddito di cittadinanza (poi si litigherà se gli extra comunitari ne avranno diritto, oppure no – ma dopo). Gesù mette a posto, si fa per dire, i due che gli chiedono il posto (oltretutto nascondendosi dietro la madre); e mette a posto, Gesù, anche gli altri che con molta probabilità non sanno stare al proprio posto: “Potete bere amaro con me?”. Non vino da trani – così era chiamata l’osteria del mio prozio Lio, dal vino di grossa grana che faceva venire dal sud – ma l’agrodolce dei giorni che chiedono coerenza e fedeltà. E dunque fatica. (È mai possibile che persino Francesco papa si lasci circuire dall’entourage per ricevere il convertito di Medjugorje, che, pure lui, si presenta con la sua mamma – sempre dietro figli senza ancora spina dorsale ci stanno genitori senza genitorialità – per ripagarlo, si scrive, da uno scherzo delle Iene televisive?! il convertito che ormai vive dei suoi libri, che raccontano quello che sarebbe opportuno rinchiudesse nel segreto del suo incontro con il Dio che ha incontrato – anche se pare che più che Dio abbia incontrato una madonna? Anch’egli come quel convertito dal musulmanesimo, battezzato nella notte pasquale da un altro papa, e poi messosi nella rissa di chi fomenta odio per tutto l’islamismo, oltre che a chiamarsi fuori dalla chiesa solo cinque anni dopo quel can can cattolico/mediatico. Dai convertiti pubblici ci guardi il Signore, cari conversi vaticani! o vi servono altre lezioni?). La fatica dei giorni la conoscono quelli che non sono amati proprio perché tengono il loro posto. E senza dire rimproverano quelli che vogliono sempre altro. Appunto: senza fedeltà, senza coerenza.