(a richiesta, il brano letto nella celebrazione della passata domenica, con la riflessione sui martiri che confessano il Signore, sia cristiani sia di altre fedi) 

Il vescovo copto di Giza, cittadina egiziana, nel guardare il video della esecuzione dei ventuno lavoratori cristiani copti, uccisi dall’Isis, ha osservato le labbra dei condannati negli ultimi istanti, e dal labiale ha letto che invocavano il nome di Gesù Cristo. Nell’incendio che si va al largando sulla Libia questa potrà apparire una notizia minore. Non sarebbe stato umanamente più comprensibile, in quell’ultimo istante, supplicare pietà, o maledire gli assassini? Per noi europei, nati in una Chiesa non fisicamente minacciata, è ragione quasi di uno sbalordimento quell’estremo invocare Cristo, nell’ultimo istante. Noi, che, quanto alla morte, ci preoccupiamo che sia “dignitosa” e “dolce”, e magari convocata quando noi riteniamo che sia l’ora. Questa morte dei ventuno giovani copti,non “dignitosa” e atroce, ci colpisce per la statura che assumono le vittime, morendo nell’atto di domandare Cristo. Neppure i terroristi avevano previsto quell’ultimo labiale e non sono riusciti a censurarlo. Ostinato come il «no» della pakistana Asia Bibi all’abiura della propria fede cristiana, fermo come il «no» di Meriam Ibrahim, in Sudan, quando era in prigione, in catene, con un figlio in grembo, e la prospettiva della impiccagione davanti a sé. Noi cristiani del mondo finora in pace fatichiamo a capire. Ci paiono giganti quelli che muoiono, come ha detto il Papa dei ventuno copti, da martiri. Eppure se guardiamo le facce di quegli stessi prigionieri nel giorno della cattura, in fila, i tratti mediterranei che li fanno non così diversi da molti ragazzi nel nostro Sud, ci paiono uomini come noi, certo con gli occhi sbarrati di paura. E allora che cosa determina, nell’ultima ora, quella irriducibile fedeltà a Cristo? Una grazia, forse, e insieme il riconoscere e invocare, con assoluta evidenza, nell’ultimo istante, il nome in cui, perfino nella morte, nulla è perduto: famiglia, figli, madri e padri e amori. Non annientati ma ritrovati e salvati. Pronunciano davanti alla morte quel nome come un irriducibile «no» al nulla, in cui i boia credono di averli cancellati. (Marina Corradi, da L’Avvenire)