Di retorica è piena la terra. Soprattutto alla vigilia di qualcosa che ci descrive o ci potrebbe descrivere. Alla vigilia di un voto: sia esso elettorale o religioso. Soprattutto se si è giovani e gli artigli della vita – illusioni, tradimenti, lontananze – non ti hanno ancora graffiato. E di abuso di frasi retoriche credo che nessuna abbia sofferto come quella di Voltaire: “Io combatto la tua idea, che è diversa dalla mia, ma sono pronto a battermi fino al prezzo della mia vita perché tu, la tua idea, possa esprimerla liberamente”. Ma non è bella? non è giusto che stia sulle labbra di tanti? Il problema è che non sta nel cuore. E se ne vedono le conseguenze, appena fuori dall’alone di virtuosità virtuale dentro cui ci si pensava amici del mondo intero. No: sarà politicamente scorretto, ma è corretto umanamente dire che non tutti hanno diritto di poter buttare nel coacervo del mondo le loro idee. Se insane, se menzognere, se omicide. Si fosse fermato Hitler a suo tempo, la Shoah ci sarebbe stata? Forse no, forse sì. Ma neppure con il senno di poi ci si può scusare dal non aver applicato il principio di Tommaso d’Aquino: il tiranno va fatto fuori, che  – detto adesso per non attirare l’ipocrisia dei rigoristi – si traduce con un va isolato. Altro che dargli le piazze, o il web! Certo, siamo in tempi in cui la pena capitale non è più nel sentire dei popoli (beh, non proprio di tutti i popoli, se solo pensiamo a chi ancor oggi è condannato a morte dall’America ai paesi arabi): ma cucirgli la bocca, sì. Persino a Voltaire sarebbe stato bene, almeno in certi momenti della vita, e della sua produzione letteraria, che fosse  impedito di esserci. E non perché massone o anticlericale: libero di esserlo, costretto pure lui ad ammettere che una intelligenza superiore ci doveva pur stare da qualche parte. Ma: padre dell’illuminismo? O della grande illusione che fa del progresso il grande precipizio dell’anima? Non è in piena  rivoluzione francese quella della ghigliottina,  che se ne mette la salma, trionfalmente, nel Pantheon parigino?  E non c’è persino in questa vigilia di una Europa che si vuole e non si vuole, qualcuno che rispolvera i tribunali del popolo che già lui, l’immortale Voltaire degli animi arrabbiati, anticipava? Tappare la bocca: ecco una operazione che si può fare con una x nella cabina elettorale. La libertà dell’altro? Sì, ma di non fare male. Affinché il male trionfi, è sufficiente che i giusti se ne stiano in sacrestia. Sentirsi giusti, qualche volta, è solo una responsabilità, non una superbia. E, alla fine, riesce a farci sentir bene sulla risposta a quei cattolici di stretta osservanza che mal vedevano la sepoltura di Voltaire nella chiesa che pure il Pantheon continuava ad essere: “… il est bien assez puni d’avoir à entendre la messe tous les jours!”. La legge del taglione  per  chi non volle distinguere (o non poté? ma allora dove era la ragione di cui lo si dice campione?) tra superstizione e fede cristiana: la punizione nei secoli dei secoli di dover ascoltare la messa tutte le mattine. E provare a pensare a una appropriata punizione del contrappasso per quelli che ci stanno avvelenando la vita con parole prive di speranza? Infliggendogliela comunque con un sorriso: così conviene ai cristiani che qualche volta debbono agire da giusti. Anche se sembra, nel postnewage del cappellone con il cappellino, che il saluto d’ora in poi debba essere la forza sia con voi. Non il Signore sia con voi, e pazienza, non è di tutti; non la bellezza sia con voi, e già c’è da allarmarsi. Tempo di tempi stellari, ahinoi! e la ragione a remengo una volta di più, caro Voltaire.