Carissimi,
qualcuno mi chiede: come sta? A me pare di stare bene, non sento dolori, sono un po’ debole. I medici invece dicono che dentro di me c’è un tumore nella parte alta del polmone destro. Da quando a fine marzo, casualmente, si è scoperto il tumore, si è cercato di capire meglio come stanno le cose e a fine aprile ho iniziato la chemio al S. Raffaele di Milano. Finora ne ho fatto due serie che mi sembra di aver superato bene. In programma

ce ne sono altre. Stando così le cose ho limitato i miei impegni alle celebrazioni delle cresime programmate in Cattedrale al sabato e la domenica pomeriggio e, fino alla fine di maggio, alle celebrazioni della S. Messa per la Visita Pastorale nelle parrocchie. Ho sospeso la visita pastorale per i mesi di giugno e luglio, e spero di riprenderla a settembre. So che molti di voi pregano per me: questo mi conforta e io vi ringrazio di cuore. Io cerco, per quello che posso, di fare la volontà del Signore: fare la Sua volontà è ciò che desidero più di ogni altra cosa. Carissimi, vi saluto tutti con molta riconoscenza e con molto affetto. Il Signore vi benedica. Il vostro Vescovo Cesare.

 

Un elettrizzante temporale ci ha colto improvvisamente sul ponte del fiume che attraversa la città: rotolio di nere nubi, rese più vaste dal cielo della pianura. Stavamo ormai tornando all’auto, in direzione di casa, ma quell’acqua a strappi, come da aspersorio, non intristiva. Noi, i preti di S. Lucia, il martedì dopo pasqua avevamo raggiunto Parma: una giornata di riposo, con l’idea di una lieto saluto a don Cesare. E invece ci siamo imbattuti nell’amara notizia: il vicario della cattedrale, ancora visibilmente ammirato, ci ha detto della serenità con cui il Giovedì santo il loro vescovo aveva rivelato la sua malattia ad alcuni preti. “È stato proprio grande”. Come sempre, ho pensato.

Nel giubileo della sua cattedrale, questo ospite inatteso, non programmato. Tra appuntamenti di grande rilievo distesi lungo un anno – con ospiti del mondo ecclesiastico e laico a parlare e a confrontarsi su storia e arte e fede – quell’ospite inaspettato, quel tumore che ti prende un’ala del polmone, e ti limita il volo. Aveva appena celebrato i funerali di quel bimbo che ha rallentato tristemente una manciata dei nostri giorni; e chi l’aveva visto in tv diceva già di una stanchezza più profonda del dolore che pure quella morte portava a un vescovo nella sua città. Indesiderato per chiunque, quell’ospite si era già insediato nel suo corpo e chiedeva immediate attenzioni.

Così quel martedì noi non l’abbiamo visto: era già partito per incominciare le cure. Ma gli abbiamo lasciato un biglietto, con l’immagine di quell’angelo che domina dalla cima della sua cattedrale. L’angiol d’or – d’oro, come è della materia che colata nel fuoco si purifica; e con il nome appropriato dell’angelo della salute, appunto l’arcangelo Raffaele, il compagno che Dio manda in ogni viaggio della debolezza. Siamo tornati, e non abbiamo detto nulla a nessuno: abbiamo preferito che fosse lui a rendere palese la malattia.

E l’ha appunto fatto, a metà maggio, con la sobria lettera inviata alla diocesi, e ai suoi conoscenti di lunga data: tra i quali ci mettiamo in prima fila per la condivisione di tredici anni di vita cristiana. Annuncia che la volontà di Dio è il suo unico vero bene. Ma lasciando alla nostra preghiera di chiedere che il suo servizio alla Chiesa di Parma possa continuare. Non accade a tutti i vescovi di sentire attorno a sé un consenso del cuore: lui ha saputo aprire questa prima porta del vangelo, nella città che si riconosce nel più iconografico dei battisteri. Affreschi e statue che raccontano la vita di Gesù, e le stagioni degli uomini; e temporali che non spengono la speranza che vale.

Tanti giorni di nuovo guariti, don Cesare.