Che ormai si viva di natale prima ancora dei morti, è diventato “normale”. Natale è quando ho voglia, recitava uno slogan pubblicitario scandito dalla faccia convincente di un comico per altro non male, anche se poi finito male: inevitabile, per un intelligente che per soldi (o per altro?) vende la sua faccia a una pubblicità così insensata da confondere un panettone con il mistero di Betlemme

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        Che dunque le luminarie si stendano sulle strade prima ancora che cominci l’avvento, è “normale”. D’altra parte, per chi non crede e non pratica, che gli importa dell’avvento? Vero: ma perché deve rubare una festa in cui non crede, e svuotarla della sua verità per riempirla dei propri interessi? Perché se non si crede in nulla, ci risponderebbe un filosofo, tutto è possibile: “poiché non vedo ragioni per non farlo, lo faccio”.

        Che il Dio di Betlemme nasca morto per tanti laici che stanno uscendo dalle catacombe al rovescio in cui dicono di essere stati sepolti dall’impero religioso, è “normale”. Non riguarda solo Gesù figlio di Maria e del Padre che sta nei cieli. Con la parola Dio si dichiarano morti ideali e valori, partenze e mete, bellezza e verità: tutto è morto se nulla è generato per sempre e per Qualcuno. Poiché tutto è apparenza, non c’è bene e non c’è male: ciascuno diventa misura del bene e del male.

        È dunque “normale” rubare l’infanzia, e l’innocenza che l’accompagna, proponendo solo la finitezza di uno scientismo che non riesce a oltrepassare la carne? E le cose della carne: non riesco a convincere che i telefonini fanno male, e pazienza per Cassandra. Di solito mi si oppone, sorridendo come fossi un giurassico, che fanno bene perché “se in montagna cadi, puoi chiedere aiuto”. Che è argomento non convincente per me: mai stato contro la tecnica, non è il telefonino delle chiamate che contesto; e un amico mio che mi derideva perché in una parrocchia impegnativa mi sono preso il cercapersone per essere reperibile nel perimetro del paese, così da lasciarmi la libertà di stare nelle case e non rinchiuso in canonica: beh, quel mio amico ora smanetta col telefonino persino nel corridoio che va dalla sacrestia alla chiesa, in una inseparabilità che una volta si riservava al breviario. Contesto ai genitori che glieli comprano, o ai nonni che glieli regalano, i telefonini dei bambini: contesto la scrittura senza pensieri, le immagini senza impegno, i controlli senza responsabilità; e le spese senza sacrificio che ricariche e schede producono.

        Vale una campagna così su un oggetto così piccolo, addirittura un diminutivo? Vale. Esso sta trasformando il nostro mondo, e le relazioni; vale, per quello che rappresenta e per quello che prepara. Se tutto è possibile – posso dire rovesciando il pensiero del filosofo – nulla vale. L’inconsistenza di ciò che mi va di fare rende inconsistente qualsiasi ricerca di senso. E rende barboso vivere in ciò che mi è dato. Andare in discoteca, fare le cubiste, spogliarsi in un locale pieno di scalmanati, è “normale” a 12 o 13 anni? Questa la domanda posta da un quotidiano di Roma che ha fatto venire alla luce un fenomeno che più inquietante non può essere. Soprattutto perché i genitori sanno e lasciano fare. Appunto, lasciano rubare un’età: il precoce, e svestito, vestire da adulti – che male c’è? – che fa agire da adulti, senza una coscienza equilibrata.

                Sarà dunque tempo di rivedere che cosa intendiamo per “normale”: è normale secondo che cosa, quando, con chi? Se per noi c’è qualcosa che conta, non ci si può rassegnare a lasciarcelo rubare: e dire normale talvolta – ma tante volte – è un furto. Furto di bellezza e verità, furto del mistero che per noi – i cristiani che vivono il tempo dell’avvento come il tempo della speranza – ha i colori delle castagne di un bosco che non si vede. Chi non attende, e anticipa, spreca.