Si ricomincia. E si scatenano sentimenti diversi. Ricominciare il viaggio di Comunità non dovrebbe essere la fatica del lunedì, né delle attività solite dopo le vacanze. Se abbiamo percorso le acque dispiegando ciascuno la sua vela al soffio dello Spirito; se almeno un poco si è cercato di vivere la pazienza come frutto di speranza che ci conduce oltre i giorni – allora il rientro

è rimetterci nella docilità di chi desidera le cose nuove che il Signore costantemente ci mostra.

Ricominciare, tuttavia, può metterci di fronte ai nostri limiti, e in particolare a quell’insaziabilità che sta allignando anche nei fatti religiosi. Scherzando ovviamente ma neanche tanto, mi sono sentito dire a un amico che la religione non è l’oppio dei popoli, ma la cocaina di molti spiritualisti. L’insaziabilità delle cose che hanno saputo stupirci, e dunque il loro abbandono, inevitabilmente provoca anche la perdita della capacità di stupore. Senza la memoria di ciò che ci ha mosso il cuore, lo stupore non esiste più, perché è lo sguardo stupito che è venuto meno e non le cose. È lo sguardo, e non l’oggetto guardato, che dice la verità del vedere, e la sua bellezza. Il raggio di sole che sta picchiando ora sulla scrivania è lo stesso di sempre: ma qui e adesso sta cantando un motivo nuovo. Un raggio di sole, o un raggio di luna, determina, definisce, squadra, ritaglia, sottolinea, concentra. Ma puoi o no lasciarti prendere da queste diverse operazioni di una stessa sorgente: secondo l’occhio che guarda, secondo lo sguardo dell’anima.

Può un cristiano dimenticare in quale mistero è stato introdotto, a quale pienezza è chiamato? Può pazziare di qua e di là – o rinunciare sconfortato – essendosi convinto che essere cristiani è una ripetizione e non una novità? Il terzo anno di preparazione del giubileo ha la funzione “di dilatare gli orizzonti del credente secondo la prospettiva stessa di Cristo: la prospettiva del Padre che è nei cieli, dal quale è stato mandato e al quale è ritornato”. Così ha scritto alle Chiese il papa, ricordando dunque che tutta la vita cristiana è come un grande pellegrinaggio. E nessuno che va può ignorare l’accortezza che un passo chiede: passo solido e ampio, ma accorto. E memore di ciò che ha sperimentato: memore delle pozzanghere e dei sassi, e memore del lastricato che gli ha facilitato la via. Memore della compagnia che l’ha sorretto, del misterioso viaggiatore di Emmaus, del grano spigolato di sabato, del padre sulla soglia di casa, dell’acqua mutata in vino.

Con il passo di chi è voglioso di lasciarsi di nuovo stupire: dietro il mare, davanti la terra, sopra il cielo. Il cielo sempre, dappertutto, se vuoi che la vita abbia la sua forza.