Chi può dire che cosa davvero si aspettasse per quell’uomo, quando al prezzo di trenta denari lo consegnò? Si immaginava che lo avrebbero crocifisso, che lo mettessero a morte? Ma era questo che davvero voleva? Oppure forse intendeva solo isolare il Nazzareno, impedirgli di affascinare ancora la gente con le sue promesse illusorie, con i suoi orizzonti impossibili? Ma, prima ancora, che cosa l’ha mosso? L’avidità, come sottolinea Giovanni,

che sembra proprio non avergli perdonato mai d’avergli per sempre sottratto l’amico? O l’invidia, per non essere lui il più intimo al Maestro? O la rabbiosa delusione per una deriva solo religiosa di quel capo, che aveva seguito nella speranza di ben altri sbocchi di potere? O semplicemente una malvagità diabolica a cui era predestinato, e a cui non poteva sottrarsi?

Giuda compare da subito, nell’elenco dei discepoli che il vangelo ci dà, come il traditore: non si è lasciata nessuna incertezza sullo svolgimento della trama della sua vita, e del suo discepolato. Subito un marchio, subito una voglia di distanze da segnare per i lettori che sarebbero venuti. Nessuna simpatia in nessun momento per lui: è pericoloso permettere che qualcuno faccia sue, anche solo per un momento, le inaccettabili ragioni di chi ha segnato la storia. Sembra questa la preoccupazione di chi ha consegnato al futuro il traditore per eccellenza. “Sei un giuda” ha il significato di “sei un traditore”. Nessuno scampo, per i secoli dei secoli. Nessun rispetto, neppure nella precisione del come morì: se per impiccagione, come racconta Matteo, o in un volo a spiacciccarsi oscenamente da una rupe, come più atrocemente sembra ricordare Luca. Certo finisce male, e per occhi di uomini non poteva essere diversamente: amato, ricambiò l’amore con un bacio di morte. Ma, appunto: era la morte che Giuda voleva per Gesù? Di più: era necessario Giuda alla morte del Figlio di Dio?

A sentire quanto Gesù dice, secondo l’Evangelo, non si danno scappatoie. E sono parole pesanti: “Sarebbe meglio non fosse mai nato chi tradisce il Figlio dell’Uomo… Nessuno di loro è andato perduto, tranne il figlio della perdizione…”. Eppure io sento di potermi attaccare ancora alla speranza per quest’unico diseredato tra i dodici. C’è una notazione che tiene aperto il dramma di Giuda: appena ricevuto il boccone dell’ospitalità “egli subito uscì. Ed era notte”. Fuori di lui, e dentro di lui, è la notte. Nella notte l’agguato, e il bacio agghiacciante, mortale. È nella notte la consapevolezza di un rimorso, l’affanno per un rimedio estremo ed impossibile ormai: altri stanno bevendo il sangue che già a lui brucia sulla pelle. E, nella notte, quella fine: la sua morte a precedere quella di Gesù, a sfidare un’ultima volta la misericordia che non sarebbe divina se non lo precedesse in un’ultima offerta di perdono.

Lo strazio di quel suicidio può valere le lacrime di Pietro? Come pensare che la Pasqua sia piena, senza la pace del Misericordioso a placare anche Giuda? In quella notte, e nelle nostre notti.