Ritornavano fuori preti, i giovani che erano entrati trepidanti in cattedrale, in una processione bianca che li faceva ancora più belli, semmai fosse stato possibile. Accolti da applausi commossi, di chi li ha conosciuti da una vita, o dal breve tempo che li ha condotti lontano da casa ad imparare un mestiere prima di una decisione. Riconosciuti come uomini nuovi. Ma erano gli stessi di qualche ora prima, forse un po’ meno trepidanti, nel tripudio

delle voci ampliate dalle arcate dei portici che uniscono le due piazze della vecchia città. Le stesse passioni e debolezze in agguato nella loro carne, stesso il pudore, stessa l’impudenza giovanile. Stessi i limiti e i desideri. E uguali le qualità d’intelligenza e di cuore. Forse più accentuata la determinazione a inoltrarsi nella vita come predicatori del Vangelo, annunciatori di salvezza.

Non potevano sapere allora, allo stesso modo di molti anni dopo, che avrebbero dovuto annunciare a se stessi innanzi tutto la salvezza del Vangelo: che è la libertà da regole di pietra per adattare la vita al vento dello Spirito. Che scardina porte e finestre, che scaraventa fuori da certezze acritiche, e che ti rappresenta – nello specchio di quelli a cui sei stato mandato – per quello che davvero sei: insospettabile a te stesso nel bene che puoi e nella sofferenza che scopri vagante nella tua anima.

Diversi, perché trasformati dal quotidiano che lo Spirito di Dio accompagna, si sarebbero trovati poi: diversi dal mattino della loro ordinazione. Resi più duri dalle intemperie delle stagioni e più forti dalla grazia del loro Signore; più docili, senza la fragilità di una dolcezza che sia solo emozione; più esposti, e meno calcolatori, più capaci di riconoscere un dono nelle amicizie che gli si offrono.

Fatti uomini di grazia per tutti gli uomini, a partire dall’imposizione delle mani del Vescovo, si ritrovano pieni di grazia: pieni di una diversità che non avrebbero mai progettato per se stessi, e forse avrebbero rifiutato se fosse dipeso da loro, in nome dell’arroganza che Caino ha lasciato in una qualche fibra del loro bagaglio genetico. Uomini pieni di risorse che non sempre riconoscono e apprezzano, e che tuttavia sostengono i loro giorni difficili.

Questi sono i preti entrati nelle vostre case, in questa Pasqua e in tutte le Pasque precedenti: alcuni sono morti; altri, nella debolezza della malattia o nella forza dell’età, vivono qui o altrove il mattino rinnovato della loro ordinazione. Sono entrati a portare benedizione: non la loro, ma quella del loro Signore. Sono tuttavia entrati con la loro umanità, così come è uscita dai molti anni a partire da quel mattino di ordinazione che per loro è stata una Pasqua. Per ciascuno di voi, hanno prestato al loro Signore le proprie orecchie e la bocca; e, statene certi, sempre, anche nel silenzio, il loro cuore. E quando il vostro peso era grande, vi hanno dato la loro debolezza. Perché, lo hanno imparato nei pochi o tanti anni dalla conclusione di quella festa d’inizio risonante ma isolata, è grazia soprattutto la loro debolezza offerta.

Poiché, non della sapienza del mondo cercano di vivere, né delle sue seduzioni di normalità, ma della stoltezza che la croce di Cristo ha insegnato piegarsi nella gloria.