È forse l’anno più insistentemente celebrato, ben al di fuori degli anniversari rituali. È nelle vene della memoria collettiva, spartiacque tra chi lo detesta e chi lo esalta: giochi retorici e pregiudizi inscalfibili a dividere una volta di più il popolo italiano. Forse perché lo si richiama secondo un frammento, di fatto non lo si racconta mai tutto. Si apre, il 68, con il devastante terremoto del Belice, e l’offensiva dei Vietcong – preludio alla disfatta americana nel pantano del Vietnam. È l’anno dell’omicidio di Martin Luther King e di Bob Kennedy, e la fine della primavera di Praga:

Jan Palach si dà fuoco contro i carri armati sovietici che invadono la Cecoslovacchia. Nella vita della Chiesa, Paolo Sesto fa cancellare la pena di morte dal codice vaticano, e pubblica l’enciclica Humanae vitae, che per la prima volta mostra una frattura di giudizio di alcuni vescovi con il papa. Le olimpiadi di Città del Messico sono funestate da una carica di polizia contro gli studenti, e i morti sono oltre cento; due atleti neri statunitensi, sul podio, salutando con il pugno chiuso, denunciano di essere usati solo come carne da sport o da prima linea nelle guerre imperialiste. Però, nel 68, il disco più venduto sarà Azzurro, con quel neanche un prete per chiacchierar. Fatti così lontani: ma hanno lasciato un segno da cui difficilmente si può discostare la cronaca degli anni che sono seguiti.

Non fa niente che tutto sia cominciato l’anno prima, con la rivoluzione dei figli dei fiori sui verdi prati dei campus americani: con ben altro timbro, che volgarizzava la contestazione al potere nella libertà di sesso e marijuana. Se si dice sessantotto, si pensa al maggio francese, e al maggio italiano che da noi durò più a lungo: alimentò riforme sociali e civili, ma anche si trasmutò nella stagione del terrorismo omicida. Il 68 è una cifra che diventa una sigla del cambiamento. In quale direzione, pare proprio che neppure questi quarant’anni di distanza riusciranno a stabilire. Anni formidabili, come scrive qualcuno? Ma va’! Abbiamo smesso di essere felici, dicono altri: c’era, sì, l’autoritarismo dei baroni di università e dei padri-padroni, ma si è persa l’autorità che si nutriva di autorevolezza; e ancora oggi, serve la lanterna di Diogene per cercare i padri. Incomincia sui muri di Nanterre, e poi di Parigi, nel quartiere latino, il diario che descrive il bisogno di cambiamento negli slogan pieni di fantasia e di rancore: “Vietato vietare; Morte ai tiepidi; Sotto il selciato c’è la spiaggia; La casa brucia, la nonna si pettina; e Immaginazione al potere”, lo slogan forse più celebre. E per la prima volta anche da noi i muri diventano l’anteprima delle lenzuolate di tatzebao che avrebbero accompagnato gli anni settanta in tutte le scuole della repubblica: chi l’ha detto che non si volevano più fare i temi? Peccato che la poesia la si traduca dai francesi, e si inventi invece la crudezza con lo slogan che è risuonato fino ad oggi: “Colpirne uno per educarne cento”. Che non è più l’innocenza dell’ingenuità, quella che o si vive da giovani, o non torna più. È il preludio di anni difficili, non accompagnati. Eppure, una matrice che veniva dal rinnovamento conciliare la si poteva cogliere: su cartelli alzati alla Cattolica di Milano e a Valle Giulia a Roma si poteva leggere “Non siamo marxisti, siamo cristiani”. All’inizio: poi, adulti dentro e fuori la chiesa si sono lasciati spaventare. E hanno consegnato una generazione che aveva cominciato il tutto come una festa, al lutto di ideologie che già arrancavano. Sono le innumerevoli facce del Sessantotto, tra leggerezza e ottenebramento, tra eroismi e spettacolarità. Che il simbolo della nuova Marianna francese – la ragazza issata sulle spalle di coetanei a sventolare libertà – fosse una foto di posa, e non un clic reale, lo avremmo saputo molti anni dopo; e ci ha annegato le residue emozioni. Dopo, in tempi più recenti, avrebbero messo in posa persino il dolore di una madre araba, moderna pietà, per fare soldi. Facce di ipocrisia e di fede autentica si sono intrecciate, e si sarebbero intrecciate. A sminuire o ad esaltare. A confondere, tanto da vedere sessantottini che si sono consegnati al liberalismo come a un vangelo: individualismo che si ingozza di consumismo, vangelo ben più irreligioso e anticristiano di quello pur contestabile del comunismo. Ma tant’è. Paure ataviche hanno disossato il meglio che poteva nascere da un incontro nuovo e verace di generazioni. Fu scontro. Profetico l’allarme dei vescovi francesi, non gridato sui muri, ma inciso nella coscienza di una memoria: la Chiesa sta per prendersi un nuovo ritardo?

La Chiesa, a partire da lì, ha sofferto il suo 68.